La maggioranza accelera sul processo lungo. E, attraverso il capogruppo del Pdl in commissione Giustizia della Camera Enrico Costa, chiede l’inserimento all’ordine del giorno della commissione del ddl che finirebbe per allungare anche la durata dei processi in cui è coinvolto Berlusconi: il processo Mills, ad esempio, non riuscirebbe nemmeno ad arrivare alla sentenza di primo grado prima della prescrizione. Il provvedimento, che ha come prima firmataria la leghista Carolina Lussana, venne ‘bocciato’ il 7 settembre scorso dal Csm per gli “effetti dirompenti” che avrebbe avuto sull’ordinamento giudiziario”.
La reazione del Pd non si fa attendere. ”Continuo a ripetere: non tira più l’aria di leggi ad personam – afferma il segretario del Pd Pierluigi Bersani -. Credo che la maggioranza debba prestare orecchio all’indignazione del Paese, allo sgomento degli italiani che hanno problemi enormi. Vedo un governo e una maggioranza che guardano ad altro, si preoccupano dei problemi di una persona sola”. Secondo il capogruppo del Pd in commissione Giustizia, Donatella Ferranti, ”la decisione del Pdl esattamente il giorno dopo la notizia secondo la quale i pm di Milano avrebbero tagliato almeno dieci testimonianze considerate superflue, è la dimostrazione di come questo partito lavori ormai a tempo pieno solo per i legali di Berlusconi”.
Il disegno di legge, licenziato dal Senato lo scorso 29 luglio con 160 ‘sì’ e 139 ‘no’, venne definito, anche dal primo presidente della Corte di Cassazione Ernesto Lupo, “la morte del processo penale”. In particolare, il provvedimento (nato originariamente per escludere dal rito abbreviato i procedimenti per reati puniti con l’ergastolo) stabilisce, tra l’altro, che la difesa possa chiedere di ascoltare un numero praticamente illimitato di testimoni, cancellando il potere del giudice di escludere le prove superflue. In più prevede che si possa ripetere l’istruttoria dibattimentale anche su fatti già accertati con sentenze irrevocabili. Vanificando, tra le altre cose, la cosiddetta ‘norma Falcone’: quella che consentiva di usare una sentenza passata in giudicato come prova in un altro processo.
La nuova disciplina, era stata la critica del Csm, ha la “capacità di rallentare a dismisura la durata di tutti i procedimenti in corso”, perché “agevola l’abuso del processo e legittima le più varie tattiche dilatorie” da parte degli imputati. Per questo andrebbe in “direzione opposta” al principio costituzionale della ragionevole durata del processo e alle “esigenze” della giustizia italiana, la cui “principale causa di criticità” è la lunghezza dei processi. E se i suoi effetti si sommeranno a quelli del ddl sulla prescrizione breve, il risultato, proseguiva la risoluzione dell’organo di autogoverno dei giudici, sarà “vanificare ogni tentativo di offrire un servizio di giustizia efficiente per i cittadini nel rispetto del principio di uguaglianza e legalità”. La maggioranza però insiste e torna a chiedere la calendarizzazione in commissione Giustizia di Montecitorio.