Economia & Lobby

Ecco perché S&P ci declassa: il caso esemplare del pessimo affare Alitalia-Air France

Altro che "colpa dei giornali". Il rapporto della società di rating sul nostro paese elenca una serie di errori del governo in campo economico. A partire dal "salvataggio" della compagnia aerea, che mandò in fumo mezzo miliardo di euro

Altro che pregiudizi contingenti e “indiscrezioni giornalistiche”. Il declassamento del rating italiano da parte di Standard & Poor’s ha radici molto profonde e si basa su una valutazione articolata che prende di mira un sistema Paese allergico alla crescita e alle tanto sbandierate riforme. A chi avesse ancora dei dubbi in merito, sarà forse sufficiente concentrarsi sul contenuto della relazione della stessa agenzia per ottenere un’interpretazione inequivocabile del senso del downgrade. L’opera dell’esecutivo italiano, negli ultimi tre anni, è costellata secondo gli analisti da un lungo elenco di errori. Operazioni sbagliate che hanno danneggiato il Paese e la sua economia alimentando un corporativismo di fondo che ben si evidenzia nell’intreccio di interessi ”tra governo e monopoli pubblici e privati, anche sindacali”. Sono pesanti i giudizi espressi da S&P e riportati oggi dall’agenzia Asca. Valutazioni severe che trovano terreno fertile nell’analisi di uno dei casi più clamorosi di cattiva gestione aziendale: la tragicomica operazione Alitalia.

Sì, bastano le parole chiare dell’agenzia di rating per riportare d’attualità un caso clamoroso che continua a pesare sulle tasche dei contribuenti penalizzando al tempo stesso migliaia di ex lavoratori precari confinati oggi in una cassa integrazione sempre meno promettente. La colpa del governo, spiega S&P, si collocherebbe nella sua resa ”ai sindacati che ha impedito la privatizzazione di Alitalia e l’Opa di Air France sulla compagnia aerea”. Un’osservazione estremamente severa, e in parte forse discutibile. Ma comunque la si pensi resta difficile, per non dire impossibile, non riscontrare nella storia dell’operazione tutti quegli aspetti emblematici di un sistema Paese cronicamente incapace di ripartire.

Un passo indietro. Siamo nel 2007 e Alitalia è sul punto di fallire sotto il peso dei suoi debiti e di una montagna di costi di gestione oramai insostenibili. Non sembrano esserci più speranze, ma per fortuna spunta all’orizzonte un’ancora di salvezza: l’interessamento di Air France. La compagnia francese sembra particolarmente generosa, mette sul piatto 1,7 miliardi di euro e si offre di acquisire tutti gli asset e i debiti dell’azienda italiana. Ma in nome dell’italianità, come si disse allora, l’offerta viene sdegnosamente rifiutata. Il seguito è noto. Prima la diffusione delle voci su una fantomatica cordata nazionale, poi il definitivo ingresso dei francesi nell’azienda con l’acquisizione di un quarto delle quote ma, particolare importante, al netto dei debiti che vengono scaricati in una bad company tenuta in vita con i soldi pubblici. Costo dell’operazione per i francesi? Non più di 300 milioni di euro utili all’acquisto del 25% della compagnia. Il che, siccome la matematica non è un’opinione, significa che Alitalia è stata valutata complessivamente 1,2 miliardi. Tradotto: i francesi sono entrati nella proprietà di un’azienda che, dopo l’operazione governativa, si è svalutata di 500 milioni.

Perplessità e indignazione si fanno strada. Augusto Fantozzi, amministratore straordinario della compagnia punta direttamente il dito contro gli ex vertici dell’azienda che, sono parole sue, avrebbero fatto “morire Alitalia di grandeur”. Fantozzi diventa così una specie di coscienza critica di anni di malagestione, un ruolo sempre più scomodo e impegnativo. Talmente faticoso, evidentemente, da suggerire al governo di garantirgli un sostegno nelle sue attività: e così, siamo a luglio di quest’anno, l’esecutivo introduce un comma ad hoc nella legge di stabilizzazione finanziaria che prevede, per le imprese in amministrazione straordinaria, un’integrazione di “due ulteriori commissari da nominarsi con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri o del Ministro dello sviluppo economico”. In pratica due uomini di fiducia dell’esecutivo capaci di mettere in minoranza lo stesso Fantozzi intenzionato, spiegano fonti bene informate vicine alla questione, ad avviare un’azione di responsabilità contro Giancarlo Cimoli e gli altri ex dirigenti. Come anticipato da ilfattoquotidiano.it sette giorni prima, il 19 luglio Fantozzi si dimette con una motivazione più che eloquente: “Sento la mancanza di fiducia da parte del governo”.

Oggi, due mesi dopo, la situazione resta difficilissima. E gli sviluppi non mancano. Anelta, l’Associazione nazionale ex lavoratori del trasporto aereo, prosegue sulla strada della class action (le adesioni sono aperte fino a metà ottobre) ed è ora pronta a chiedere la costituzione di una commissione d’inchiesta parlamentare sulla vicenda promettendo inoltre di costituirsi parte civile negli eventuali procedimenti promossi dallo Stato a carico degli ex amministratori. Oggi, intanto, il gup del tribunale di Roma, Maria Bonaventura, ha disposto il rinvio a giudizio per l’ex presidente di Autostrade Gian Carlo Elia Valori e i manager Claudio Prati e Danilo Dini in relazione alla tentata scalata della stessa Alitalia. Un’operazione sponsorizzata dall’ex presidente della Corte Costituzionale Antonio Baldassarre, già sotto processo, sulla quale, sostiene l’accusa, sarebbero state diffuse volutamente notizie false. Per tutti l’imputazione è quella di aggiotaggio. Nel frattempo, i circa settemila cassaintegrati “a tempo” di Alitalia attendono ancora di conoscere il proprio destino. Con l’innalzamento della soglia dell’età pensionabile, denuncia Anelta, i lavoratori rischierebbero alle attuali condizioni di ritrovarsi per due o tre anni senza stipendio né trattamento previdenziale.