I tributi allo Stato vanno corrisposti “per obbligo morale” prima ancora che per obbligo legale. E’ quanto osserva, in un passaggio della sua omelia in occasione della festa di San Matteo Apostolo, patrono della Guardia di Finanza, l’arcivescovo di Bologna, cardinale Carlo Caffarra.
“L’obbligo legale – spiega nel corso della Messa celebrata per i militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Bologna – o affonda le sue radici nella consapevolezza di un vero e proprio obbligo morale o è, nonostante le apparenze, assai fragile”.
Così, ammonisce Caffarra, “le tasse vanno pagate per obbligo morale. Chi le evade pecca contro il Signore, vindice di ogni ingiustizia. La grande tradizione giuridica occidentale non ha mai sradicato gli ordinamenti giuridici dall’ordinamento morale – sottolinea ancora l’Arcivescovo felsineo – pensando i primi come il ragionevole e sempre imperfetto tentativo di trascrivere le esigenze di una superiore giustizia. La progressiva trasformazione degli ordinamenti giuridici in sistemi di norme puramente procedurali e sempre più astratte e formali – conclude – è devastante sul piano della coesione sociale”.
Nel ricordare agli uomini della Guardia di Finanza che proprio Matteo, uno dei dodici Apostoli, venne “scelto mentre seduto al banco delle imposte faceva il suo lavoro”, l’Arcivescovo di Bologna non ha mancato di sottolineare, alla luce della pagina evangelica, il loro ruolo nella società civile e il rapporto fra servizio pubblico e dovere di pagare le tasse.
“Il dovere di pagare le tasse – argomenta Caffarra in un altro passaggio dell’omelia – trova il suo fondamento oggettivo nel servizio che lo Stato rende ai cittadini. Ovviamente si tratta di un dovere reciproco: al dovere del cittadino corrisponde il dovere di coloro che l’Apostolo chiama servitori pubblici”. Questo rapporto di reciprocità, avverte il Cardinale, “può essere insidiato e da parte del servitore pubblico e da parte del privato cittadino. Da parte del privato cittadino – spiega – l’insidia peggiore è l’oscurarsi nella coscienza dei singoli della percezione del bene comune. Il bene comune è di tale natura che nessuno ne può usufruire senza impegnarsi, a seconda delle sue capacità, a ricostruirlo continuamente: ne deriva che il peggior nemico del bene comune è chi ne usufruisce semplicemente”.
Quanto al servitore pubblico, secondo Caffarra, “l’insidia peggiore è l’oscurarsi nella loro coscienza di essere servitore del bene comune”, e non del bene particolare di gruppi o individui. Ne deriva che il peggior nemico del bene comune fra i pubblici funzionari è chi lo riduce al bene di parte; o chi non si applica costantemente al suo compito. Non dimentichiamo che la condivisione dei doveri reciproci è una forza di coesione sociale ben più forte della semplice rivendicazione dei diritti”.
Pertanto, scandisce l’Arcivescovo, “ci troviamo di fronte ad una svolta epocale della civiltà giuridica occidentale: l’uomo non osserva le leggi per paura della sanzione – sarebbe un atteggiamento indegno dell’uomo – ma a motivo della coscienza. L’obbligo legale o affonda le sue radici nella consapevolezza di un vero e proprio obbligo morale o è, nonostante le apparenze, assai fragile. Le tasse – chiosa – vanno pagate per obbligo morale”.