“La pace in Medio Oriente si ottiene con i negoziati, non con comunicati o risoluzioni dell’Onu”. “E’ tempo per le Nazioni Unite di sanzionare il regime della Siria e di stare con il popolo siriano”. “In Iran abbiamo visto un governo che si rifiuta di riconoscere i diritti dei suoi cittadini”. E’ stato un discorso ampio, articolato, quello che Barack Obama ha pronunciato davanti all’Assemblea generale dell’Onu. Il presidente statunitense ha parlato di diritti umani, nucleare, guerra e libertà. Ma le parti più attese, e in queste ore più analizzate, sono state quelle legate al conflitto israelo-palestinese e alle rivolte in Africa del nord.

“Sono convinto che non ci siano scorciatoie per mettere fine a un conflitto che dura da decenni”, ha detto Obama, ribadendo la posizione che la diplomazia USA sta ripetendo da giorni. L’amministrazione Obama è contraria alla richiesta palestinese di riconoscimento unilaterale dello stato (che verrà presentata alle Nazioni Unite venerdì prossimo). Davanti all’Assemblea ONU, il presidente americano ha ribadito con forza questa opposizione, spiegando che la pace nel conflitto israelo-palestinese non può essere raggiunta attraverso dichiarazioni unilaterali, ma attraverso un accordo che affronti i principali problemi che dividono i due Paese: “sicurezza, confini, rifugiati e Gerusalemme”.

Non è sfuggito a molti dei presenti nella grande sala circolare dell’ONU che, mentre Obama scandiva il suo no, il ministro degli esteri palestinese, Ryad al Maliki, scuoteva vistosamente la testa in segno di dissenso. Accanto a lui, impassibile, era seduto il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, Abu Mazen, che vedrà Obama nel tardo pomeriggio di New York (la mezzanotte italiana). Impassibile anche la delegazione israeliana, guidata, durante il discorso di Obama, dal ministro degli esteri Avigdor Lieberman (il premier Benyamin Netanyhu, spiegano fonti diplomatiche, non era presente “perché impegnato a incontrare il presidente di Columbia University. Ma molti osservatori hanno spiegato l’assenza di Netanyahu con la storia di “pessimi rapporti” tra il premier e l’attuale inquilino della Casa Bianca).

Particolarmente decisa, in questa occasione, è stata la difesa da parte di Obama delle ragioni della sicurezza dello stato ebraico, “una nazione di otto milioni di persone, circondata da Paesi molto più grandi che desiderano la sua distruzione”. “Il nostro impegno per la sopravvivenza di Israele non verrà mai meno”, ha detto il presidente. Molti, negli Stati Uniti, hanno del resto spiegato la posizione dell’amministrazione americana anche con ragioni di politica interna. Obama è sotto attacco da parte dei candidati repubblicani alla presidenza, che lo accusano di “tradire Israele”, e di “stare dalla parte dei terroristi” (l’accusa è venuta, proprio ieri, da Rick Perry). Il presidente aveva conquistato almeno due terzi del voto ebraico, nel 2008. Ma la percezione che la politica americana stia lentamente scivolando verso le ragioni dei palestinesi ha suscitato, negli ultimi mesi, diffusa preoccupazione nella comunità ebraica americana. I democratici hanno la scorsa settimana perso un seggio in elezioni suppletive per la Camera in un distretto di New York, dove il voto ebraico tradizionalmente conta molto. E conterà molto, il voto ebraico, alle presidenziali 2012, soprattutto in swing states come la Florida. “Possiamo contare ancora sulla maggioranza del voto ebraico – ha detto il deputato democratico Eliot Engel – ma è probabile che una certa percentuale di esso, tra il 10 e il 20%, ci abbandonerà. Per questo dobbiamo essere molto prudenti”.

La necessità di tutelare il proprio bacino di voti rischia comunque di peggiorare i rapporti di Obama col mondo arabo, in un momento in cui il presidente cerca di appropriarsi delle ragioni di libertà, e di espansione della democrazia, della “primavera araba”. “Un eventuale veto americano allo stato palestinese renderà gli Stati Uniti un elemento tossico nel mondo arabo”, ha detto Turki al-Faisal, ex-ambasciatore saudita a Washington. Nel discorso davanti all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, Obama ha comunque rivendicato la sua scelta di appoggiare le richieste popolari in Tunisia, Egitto, Libia. “Il regime di Gheddafi è finito, Ben Ali e Mubarak non sono più al potere – ha detto -. Nulla sarà più come prima. E’ stata battuta l’umiliazione della corruzione e della tirannia. La tecnologia ha assicurato il potere nelle mani del popolo. La gioventù ha lanciato una sfida potente alle dittature, rifiutando la bugia secondo cui alcune religioni e alcune etnie non desiderino la democrazia”.

Subito dopo il suo discorso all’ONU, Obama ha incontrato Netanyahu. In serata vedrà Abu Mazen. La via dell’amministrazione USA – negare la proclamazione unilaterale dello stato palestinese, senza negare il diritto dei palestinesi a uno Stato – appare particolarmente tortuosa. Da parte sua, l’Autorità Nazionale Palestinese ha annunciato, subito dopo il discorso di Obama, di voler sottoporre la richiesta dello stato all’Assemblea ONU, dove i palestinesi sono sicuri di trovare un’accoglienza più favorevole rispetto al Consiglio di sicurezza.

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