In tanti, e in buona fede, invocano dal Vaticano un gesto, o almeno una parola contro l’insonne Satyricon di Silvio Berlusconi. Dicono: ma come? Non offende la Dottrina questo lurido mercato della carne? Questo commercio osceno di denaro e di ricatti? Non indignano le minorenni masticate da vecchie mandibole, il trafficante di cocaina e il trafficante di appalti accolti come complici? E l’inganno, la menzogna, la prepotenza, il furto? Possibile che sia consentita l’offesa manifesta a ogni principio, ogni precetto della fede cristiana, senza che alcun principe della Chiesa senta una tale insofferenza da alzarsi e gridare: “Ora basta”?
Questa speranza è un equivoco. Non può accadere – e non accadrà – almeno fino a quando il Vaticano continuerà a indossare la sua ricchezza terrena come uno scudo, come un programma, come una identità. Gelosa dei propri privilegi fino a farsene prigioniera. Ossequiosa del potere. Persuasa che sia giusto anteporre sempre il proprio interesse materiale per la sopravvivenza al suo dovere spirituale della testimonianza. È la sua storia peggiore che lo insegna. Sebbene un tempo la posta in gioco fosse il Santo Sepolcro e ora solo l’Ici dei santi alberghi.
Il Fatto Quotidiano, 22 settembre 2011