Informare la polizia sugli studenti depressi o isolati. È la richiesta arrivata a docenti, impiegati, leader di organizzazioni studentesche e altri lavoratori delle università inglesi dall’Home Office (il ministero degli Interni del Regno Unito) sulla base della nuova strategia per prevenire il terrorismo islamico. Ne ha dato notizia, nei giorni scorsi, The Guardian. All’ordine sono seguite le reazioni di docenti e associazioni: per loro è una limitazione delle libertà che può danneggiare il rapporto tra professori e allievi. “Stando alla ricostruzione del giornale sembra essere una strategia poco efficace”, sostiene Diego Gambetta, docente a Oxford ed esperto di criminalità, intervistato da ilfattoquotidiano.it.
Secondo il quotidiano inglese gli impiegati di alcuni college in Lancashire e Londra sono stati avvicinati da polizia e autorità locali ad agosto, due mesi dopo l’approvazione delle nuove linee guida “Prevent”, dedicate alla prevenzione di atti terroristici. A loro sono stati consegnati documenti utili per riconoscere studenti che potrebbero abbracciare dottrine radicali: quelli depressi, solitari, estraniati dal mondo esterno per la lontananza dalla famiglia o incapaci di integrarsi, quelli con idee politiche forti o che navigano su siti di estremisti. Dopo la segnalazione lo studente verrà seguito da un detective di Scotland Yard per verificarne la pericolosità.
Il rischio più volte segnalato dai servizi segreti è legato ai “lone wolves”, singoli individui scollegati da gruppi che si prestano ad azioni terroristiche difficili da intercettare. È il caso del nigeriano Umar Farouk Abdulmutallab, studente di Londra che, dopo aver letto i testi di Al-Qaeda via web ed essersi addestrato in Yemen, ha tentato di farsi esplodere su un aereo diretto a Detroit a Natale 2009. Oppure quello di Roshonara Choudhry, studentessa di 21 anni influenzata dai sermoni di Anwar al-Awlaki, leader di Al-Qaeda nella Penisola arabica, che il 14 maggio 2010 ha accoltellato il parlamentare Stephen Timms. Secondo un rapporto del governo, in quaranta università inglesi ci sono “rischi particolari” di radicalizzazione. Già nel 2004 – prima degli attentati nella metropolitana di Londra del 7 luglio 2005 – un dossier dell’Home Office e del Foreign Office metteva in allarme il governo: una rete di reclutatori estremisti cercava nei campus persone con conoscenze tecniche e professionali, soprattutto nell’information technology. Nell’ultimo documento del Contest (counter-terrorism strategy) si ricorda che più del 30% dei terroristi associati ad Al Qaeda in Gran Bretagna tra il 1999 e il 2009 hanno frequentato scuole superiori o l’università e circa il 10% erano studenti al tempo delle condanne o degli attentati. Alcuni sono stati indottrinati negli ambienti universitari da persone esterne agli atenei, mentre altri sono stati attirati e ingaggiati in attività estremistiche in questi spazi.
Tuttavia, a guardare bene i dati dell’articolo un esperto come Gambetta, professore di sociologia al Nuffield College di Oxford e autore insieme a Steffen Hertog di uno studio sulla prevalenza di ingegneri tra gli attentatori terroristici, ha dei dubbi: “Mi sembrerebbe strano che il governo mettesse in atto una strategia così poco efficace come quella descritta dal Guardian”, spiega Gambetta. Il paradosso di questo tipo di allarme viene dai dati assoluti forniti nel database del docente: “Fino a dicembre 2010 – continua – ho contato 60 estremisti islamici nel Regno Unito che sono catturati e condannati, o sono defunti. Stando alle statistiche fornite, da 6 a 18 sono o sono stati studenti universitari”. Un numero esiguo: “Nel pettine rimarrebbero migliaia di studenti, un lavoro di ricerca immane con pochi e incerti frutti. Inoltre il profilo mi pare parzialmente sbagliato: non mi risulta che la depressione o l’essere estraniati dalla famiglia identifichi potenziali estremisti più di quanto lo facciano i tratti opposti, come essere vitali e aver famiglia e figli. Si pensi al capo del 7 luglio 2005”.
Gambetta dubita anche che la strategia sia rivolta a tutti campus: “Sembra che solo qualche college sia stato contattato, magari quelli in cui la polizia già sa che vi sono cellule di esaltati. Nel caso la gran maggioranza delle università venisse contattata lo staff sarebbe molto cauto a prender parte a una cosa del genere. Senza prove circostanziali concrete nessuno dei miei colleghi denuncerebbe studenti musulmani alla polizia solo perché rientrano in quel profilo generico”.
Anche i sindacati studenteschi sono dello stesso avviso. La National Union of Students non darà informazioni sugli universitari a meno che non ci sia un mandato di cattura. Per James Haywood, presidente della student union del Goldsmiths college, si tratterebbe di diventare delle spie, compiendo un atto “moralmente repugnante” che danneggerebbe i rapporti tra docenti e allievi: “Dopo la crescita di gruppi d’odio come la English Defence League e il recente massacro in Norvegia perché non ci chiedono di fornire informazioni sugli studenti che odiano l’islam?”. Per la Federazione delle associazioni di studenti musulmani (Fosis): “Spiare un gruppo del tutto innocente di persone è un affronto per i nostri diritti umani”.
L’Home Office ha difeso la nuova strategia: “Il programma ‘Prevent’ serve a evitare che le persone siano attratte dal terrorismo. Ci aspettiamo che università e college partecipino costruttivamente in quest’ambito”. Il motivo è semplice. Per il governo università e college hanno l’obbligo legale e morale di assicurare un luogo di studio e lavoro accogliente e sicuro. Inoltre il loro ruolo è quello di aiutare i giovani “vulnerabili”, evitando la loro radicalizzazione e l’arruolamento in organizzazioni estremistiche. In ogni caso, al momento il governo non ha ricevuto nessun rifiuto ufficiale da parte delle istituzioni britanniche.