Il fondo di salvataggio europeo dovrà essere necessariamente ampliato. Dopodiché potrebbero partire anche gli eurobond. Lo ha detto il presidente della banca centrale olandese e consigliere Bce Klaas Knot. Un’affermazione pesante. Che apre un varco nel fronte degli oppositori alla soluzione delle obbligazioni congiunte che vede la Germania storicamente in prima fila
L’affermazione è a suo modo epocale. Non tanto di per sé, è chiaro, quanto piuttosto per la posizione del suo autore. Come numero uno della banca centrale d’Olanda, infatti, Knot deve fare i conti con la posizione di un esecutivo nazionale che, in sede europea, si è sempre schierato con il fronte dell’intransigenza. Una scelta ribadita appena un mese fa dal ministro delle Finanze Jan Kees de Jager che, in un’intervista al settimanale tedesco Der Spiegel, aveva definito “perversi” gli effetti di un’ipotetica emissione di eurobond chiamando in causa un implicito azzardo morale. Garantendo all’intero continente i medesimi costi di finanziamento, aveva spiegato, i Paesi in difficoltà si troverebbero nella condizione di poter prendere in prestito liquidità a tassi più bassi rispetto a quelli tipicamente accordati ai loro bond nazionali. Andando incontro, a quel punto, alla forte tentazione di “incrementare i loro debiti piuttosto che ridurli”.
Tutto estremamente logico, per carità, tanto più che in questo senso le argomentazioni del fronte del No sembrano decisamente inattaccabili. Peccato però che il recente aggravarsi della crisi europea abbia imposto esigenze di liquidità di nuova dimensione. Insomma, servono più soldi di quanto si pensasse. Soprattutto ora che la pressione sui mercati spinge al rialzo i deficit nazionali svalutando il portafoglio delle banche private (i soggetti più esposti sui titoli pubblici) ed imponendo a queste ultime nuove ricapitalizzazioni. Ecco perché, a questo punto, non si potrebbe più escludere una bella ondata di ripensamenti in sede Ue anche da parte di chi, fino a oggi, ha sostenuto con convinzione le ragioni del No difendendo strenuamente quel muro eretto dal governo tedesco a protezione dei conti dell’Unione.
La maxi operazione eurobond, tuttavia, potrebbe anche avere luogo senza la necessità di un accanimento terapeutico nei confronti di Atene. In questo senso, lo stesso Knot è stato piuttosto chiaro. “Non sto dicendo che la Grecia dovrà fallire per forza – ha dichiarato – ma certo, diversamente da qualche mese fa, non posso più escludere categoricamente l’ipotesi bancarotta”. Anche la Bce, insomma, sembra arrendersi all’evidenza di ciò che il mercato ha già ampiamente certificato. Un Paese che offre agli investitori titoli biennali a un interesse del 67% può definirsi clinicamente morto, anche se “forse, non ha ancora compreso pienamente la gravità della sua situazione”. Di fronte a misure di risparmio e privatizzazione chiaramente inadeguate, sottolinea ancora Knot, il governo ellenico potrebbe ritrovarsi con le casse vuote entro un mese.
E proprio i persistenti timori sulle conseguenze dell’ormai scontato fallimento greco (resta solo da capire la misura definitiva dei tagli sui premi obbligazionari, ovvero a quanti soldi dovranno rinunciare i titolari dei bond di Atene) continuano a preoccupare gli investitori. Per fortuna, tuttavia, l’ipotesi di nuovi interventi da parte della Bce ha ridato oggi un po’ di ossigeno alle borse europee. Francoforte ha chiuso in territorio positivo (+0,63%) così come Parigi (+1,02%) e Madrid (+2,12%). Dopo i pesanti cali di ieri, Piazza affari ha parzialmente recuperato chiudendo le contrattazioni con un +1,36%. Lo spread Btp/Bund si colloca ora a 393 punti base dopo aver toccato in mattinata anche quota 411.