Ricordate i proclami gelminiani dell’autunno scorso? “L’università sarà più meritocratica, trasparente, competitiva e internazionale”. Gelmini arrivò al punto di affermare, con supremo sprezzo del ridicolo, che chi protestava difendeva i baroni. La legge è stata approvata da mesi: che fine hanno fatto i baroni? E i contestatori?
La legge Gelmini obbliga gli atenei a riscrivere gli statuti. Tutti i poteri passano al consiglio di amministrazione (cda): il Senato Accademico, tempio del potere baronale, viene ridotto al rango di organo consultivo.
Ma la ministra Gelmini sotto sotto è una tenerona e non se l’è sentita di abbandonare così i poveri baroni: nella sua legge ha previsto gli statuti siano riscritti da commissioni designate proprio dagli attuali organi di governo universitari.
Molti atenei hanno così designato commissioni a maggioranza blindata, che scrivono statuti che cambiano tutto affinché nulla cambi: ad esempio, affidando a Rettori e/o Senati Accademici il potere di designare i futuri cda.
Quest’anno, però, c’è una novità: i baroni non sono più i soli a prendere la parola. Ci sono ricercatori, studenti e rari professori illuminati che, freschi delle proteste anti-Gelmini, chiedono che i cda siano eletti in modo trasparente e democratico: per coinvolgere l’intero personale dell’ateneo nelle decisioni hanno inventato il referendum autogestito.
La prima è stata Bologna: a fine giugno più di 2200 persone hanno cliccato sui quesiti online proposti dal coordinamento intersindacale e una schiacciante maggioranza ha detto quattro sì alle proposte alternative a quella del rettore Dionigi, ma il Senato non se ne è dato per inteso e ha approvato ugualmente.
La partita è invece ancora aperta alla Statale di Milano, dove più di 400 persone hanno riempito i questionari e a larghissima maggioranza hanno respinto la bozza di statuto caldeggiata dal rettore ed ex presidente della CRUI Decleva.
A Perugia l’establishment ha proposto una bozza nella quale il Senato sarà a maggioranza non elettiva e il cda totalmente non elettivo. Anche qui, alcuni volenterosi hanno appena promosso una consultazione autogestita e oltre 600 votanti hanno inflitto una sonora bocciatura alla proposta della commissione ufficiale.
All’Università di Torino la lotta è iniziata a gennaio, con una petizione per chiedere che la commissione di riscrittura fosse elettiva e non designata dall’alto: ottiene più di 800 firme, stampate su uno striscione rosa lungo oltre 20 metri, srotolato e consegnato al rettore nel bel mezzo dell’inaugurazione dell’anno accademico. La richiesta non viene accolta e la commissione viene designata, ma il sottoscritto ottiene il raro privilegio di entrarvi.
Il conflitto scoppia nuovamente a giugno: la commissione partorisce a colpi di maggioranza una bozza di statuto che prevede una rappresentanza studentesca sotto i minimi di legge, e un cda interamente designato dal Senato. La reazione? Dimissioni del sottoscritto dalla commissione, e lancio di una petizione con proposte alternative: raccoglie 1100 firme. Non basta: a luglio, circa 300 persone vanno a presidiare una seduta del Senato Accademico. Vista la situazione, il Senato si convince obtorto collo a votare una proposta di mediazione che invita la commissione a modificare la bozza, aumentando la rappresentanza studentesca e prevedendo un cda elettivo. La battaglia sembra vinta…
A settembre i ricercatori organizzano ugualmente una consultazione dell’ateneo per garantire a tutti il diritto di esprimersi sulla bozza di statuto. Quasi 1200 persone chiedono di parteciparvi, anche se per problemi tecnici non riusciranno a votare tutti. Ma mentre le urne telematiche sono aperte, ecco il colpo di scena: in una seduta surreale, il 20 settembre la commissione con una risicatissima maggioranza di 7 a 5 si rifiuta di ratificare la proposta di mediazione del Senato, adducendo argomentazioni del tipo “il cda è un organo tecnico e bisogna scegliere i più competenti” e che l’elettorato “non è in grado di giudicare al meglio chi è più competente”!
La prossima puntata della telenovela torinese? Il 27 settembre, quando il Senato Accademico si riunirà per approvare uno statuto impresentabile. Stay tuned!