Oggi è uscito, com’era stato da tempo programmato, l’elenco dei politici presunti omosessuali che hanno votato a favore dell’affossamento della legge contro l’omofobia lo scorso luglio. Qui la lista.
Già ieri mi sono espresso contro l’outing, che trovo inquietante, violento, incivile e incompatibile con le finalità di un movimento che vorrebbe invece essere trasparente, pacifico e civile.
La pubblicazione della lista, che è avvenuta su un sito completamente anonimo, creato ad hoc e spammato abilmente su Facebook, è un pesante schiaffo a chi ogni giorno mette la faccia in una battaglia per il riconoscimento della dignità e dei diritti delle persone omosessuali e transessuali. La lista non dà alcun contributo a questa battaglia, anzi credo la danneggi.
Stamane è anche apparso sulla rivista Gli altri un editoriale di Aurelio Mancuso, in passato presidente di Arcigay, che difende l’outing come strumento di battaglia politica volto a smascherare l’ipocrisia e riportare deputati e senatori omofobi alla loro “normalità” di omosessuali velati e repressi. E accusa alcuni “capi” dell’associazionismo omosessuale di essersi schierati contro l’outing perché, in fondo in fondo, riterrebbero l’omosessualità una cosa negativa.
Non sono d’accordo. La questione dell’outing-sì outing-no deve essere ridotta ai minimi termini e vista dunque secondo la prospettiva del movimento: a quale risultato conduce? Quale valore aggiunto comporta per il successo delle giustissime rivendicazioni del mondo gay-lesbo-transessuale? Dire che ci sono più gay in politica di quanti ne appaiono rende le persone omosessuali più uguali, più dignitose, più sensibili alla necessità che la loro (la nostra) dignità sociale, giuridica e politica sia identica a quella di tutti gli altri? Non mi pare.
C’è chi invoca, quasi a giustificazione teorica della propria posizione a favore all’outing, il fatto che da due anni a questa parte la stampa ci propini le storie della cosiddetta “puttanopoli”, Bunga Bunga & co. Non credo che questo modo di ragionare assegni un punto di merito a nessuno.
Se siamo caduti così in basso nel livello di confronto politico, forse, è un po’ colpa di tutti. Che lasciamo fare. Che “sospiriamo, ma non ci indignamo”, come direbbe Arturo Carlo Jemolo (al quale chiedo di perdonarmi per averlo tirato in ballo in un contesto che certamente tanto diverso dal suo in termini di altezze o bassezze morali). In questo caso, però, la colpa è inescusabile: il contributo che l’outing fornisce al dibattito è pari a quello che dà Emilio Fede quando dice che Nichi Vendola va compreso “davanti e di dietro”.
Cioè zero.