L'ex funzionario del Sisde, accusato dai pentiti di mafia di passare informazioni a Cosa nostra e di aver consentito la fuga di pericolosi latitanti, ha detto di essere "frastornato" per una notizia che riteneva "impossibile"
La Corte d’Appello di Caltanissetta ha ammesso la revisione del processo in cui Bruno Contrada è stato condannato a 10 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa. La sentenza era stata emessa il 5 aprile del 1996 dal tribunale di Palermo, ed è diventata esecutiva, con provvedimento della Cassazione, il 10 maggio del 2007. Il processo di revisione comincerà il prossimo 8 novembre davanti ai magistrati nisseni. Due richieste analoghe, presentate dal difensore di Contrada, l’avvocato Giuseppe Lipera, erano state rigettate.
Non si è fatta attendere la reazione del diretto interessato, che si è detto “frastornato” per una notizia che gli “sembrava impossibile”. “Sono sempre fermo al brocardo latino ‘ad impossibilia nemo tenetur’ (all’impossibile non si può fare alcunché) – ha detto Contrada tramite il suo legale – perché dopo tutto quello che ho passato negli ultimi venti anni, ho tutti i motivi per essere pessimista. Ora – ha concluso l’ex funzionario del Sisde – devo trovare il tempo e il tempo ormai per me stringe e la salute scarseggia. La speranza è l’ultima a morire, l’unica mia speranza è l’imprevisto”.
Quella di Bruno Contrada, oggi 79enne, è stata una carriera con tante luci e troppe ombre. Entrato in polizia nel 1958, è riuscito a scalare tutti i vertici all’interno del corpo. Già investigatore di punta dell’antimafia e più volte capo della squadra mobile di Palermo negli anni ’70, in seguito è diventato – nell’ordine – dirigente della Criminalpol, capo di gabinetto dell’Alto commissariato antimafia e ‘numero tre’ nella scala gerarchica del Sisde. Alla vigilia del Natale 1992 il colpo di scena: è stato arrestato perché accusato da alcuni collaboratori di giustizia di passare informazioni a Cosa nostra e di avere consentito la fuga di pericolosi latitanti, primo fra tutti il capo dei capi Totò Riina. Per questo, secondo la testimonianza dei pentiti, avrebbe ricevuto la ‘copertura’ di non identificati vertici istituzionali.
In galera, l’ex super poliziotto ha scontato 31 mesi e sette giorni di carcerazione preventiva. Gaspare Mutolo fu tra i primi ad accusarlo, ma Contrada – che lo aveva più volte arrestato – ha sostenuto che quella del boss era una semplice vendetta nei suoi confronti. Oltre a Mutolo, però, a parlare dei rapporti di Contrada con Cosa nostra sono stati anche Tommaso Buscetta, Salvatore Cancemi e Giuseppe Marchese.
L’ex funzionario del Sisde è stato assolto nel primo processo d’appello, il 4 maggio 2001, dopo la condanna a dieci anni inflittagli in primo grado il 5 aprile 1996. Poi è stata la Cassazione, il 12 dicembre 2002, ad annullare il verdetto assolutorio e a disporre un nuovo processo. Il 25 febbraio 2006, invece, è arrivata la condanna a 10 anni di reclusione, provvedimento che nel maggio del 2007 la Cassazione ha reso definitiva. Ora il nuovo passaggio di una vicenda giudiziaria che dura da 19 anni.