Sono semplicemente parole “sentite dire” o ancora peggio dei “ragli d’asino”. Così il ministro delle Politiche agricole Saverio Romano liquida le ultime dichiarazioni del collaboratore di giustizia Stefano Lo Verso, che aveva rivelato come il boss di Villabate (cittadina alle porte di Palermo) Nicola Mandalà gli avesse riferito che loro (ovvero Cosa Nostra) avessero “nelle mani Saverio Romano e Totò Cuffaro”.
Per il ministro di Belmonte Mezzagno si tratterebbe quindi di semplici accuse “ricorrenti ad orologeria”. Accuse che non ha fatto in tempo a smontare nella sua opera prima, il libro intervista edito da Il Borghese e scritto con la giornalista Barbara Romano, collaboratrice di Bruno Vespa a Porta a Porta. Titolo emblematico del trattato difensivo La Mafia Addosso. A meno di una settimana dalla votazione della mozione di sfiducia firmata da Pd, Idv e Fli l’ex delfino di Totò Cuffaro sceglie quindi di affidare la sua auto difesa alle rassicuranti pagine di un libro, sgombre di giudici e collaboratori di giustizia. Nel mirabile trattato targato Romano & Romano, il ministro cerca di spazzare via i risultati delle indagini che lo hanno tirato in ballo negli ultimi anni affidandosi allo sport nazionale della persecuzione giudiziaria. “Vivere con il sospetto di mafiosità addosso è terribile – spiega lui – come una maglietta fradicia di sudore che non ti appartiene”.
Una maglietta che nel suo caso è fradicia anche di molteplici accuse. Sono parecchi infatti i testimoni eccellenti su cui si basa l’inchiesta della procura di Palermo. C’è Francesco Campanella, giovane allievo di Clemente Mastella, presidente del consiglio comunale di Villabate e fornitore della carta d’identità falsa che consentì a Bernardo Provenzano di andare a Marsiglia a curarsi la prostata. Ci sono i pentiti Nino Giuffrè e Angelo Siino, le dichiarazioni dei medici Salvatore Aragona e Mimmo Miceli – entrambi condannati – e i racconti degli esponenti politici Giuseppe Acanto, Giuseppe Bruno e Rosario Enea.
Una pletora di dichiarazioni che ha portato il procuratore aggiunto di Palermo Ignazio de Francisci e il sostituto Nino Di Matteo a chiederne il rinvio a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa. Per gli inquirenti Romano avrebbe ”consapevolmente e fattivamente contribuito al sostegno ed al rafforzamento dell’associazione mafiosa Cosa Nostra”. Insomma una “sudata” abbondante per utilizzare le parole del ministro. Lui però scrolla le spalle tranquillizzato dalle parole di Roberto Maroni: molto probabilmente infatti mercoledì prossimo sarà la Lega a salvarlo dalla sfiducia nonostante le accuse (un ministro siciliano indagato per mafia) potrebbero non trovare l’appoggio della base padana.
Nel frattempo – noncurante della “maglietta fradicia di sudore” che continua a portare addosso – continua a difendersi presentando in giro il suo libro. Difesa comoda e originale ma tecnologicamente un passo indietro rispetto alla soluzione adottata proprio da Nino Mandalà, indicato da Campanella come il boss della cosca di Villabate e padre di Nicola, l’autore della frase ” abbiamo nelle mani Saverio Romano” rivelata da Lo Verso. Anche Mandalà, infatti, ha affidato la sua difesa alle pubbliche relazioni. Appena uscito dal carcere, dopo una condanna ad otto anni, ha aperto un blog che gestisce e aggiorna personalmente ogni giorno. Non sarà la prosa di Romano ma sono pur sempre anni luce di distanza rispetto ai pizzini di Bernardo Provenzano.