Non ditelo a nessuno, si tratta tuttavia di un programma, come dire?, “in costume”, al pari di un’opera di Sem Benelli come La cena delle beffe o, più propriamente, come una ricostruzione degli uffici dell’agenzia di stampa Stefani durante i disgraziati anni del fascismo: radica autarchica, radio a valvole, abat-jour che soffonde una luce da cupio dissolvi giornalistico, modellini di aerei da ricognizione come soprammobili. Quanto basta per aver la sensazione d’essere giunti al cuore ormai fossile del problema politico italiano, al trovarobato dell’ultimo berlusconismo.
Ferrara insomma ha scelto per sé un’ambientazione scenograficamente, metaforica, in grado di suggerire, sia pure in filigrana, sia pure fra grandi virgolette non meno in radica e acciaio cromato, alcune figure all’amaro, anzi, all’ammazzacaffè del ventennio già opportunamente evocato, un Mario Appellius, e forse perfino un Telesio Interlandi, giusto per dire che talvolta la professione scelta ti obbliga, anzi, ti condanna a sostenere l’indifendibile, e qui il volto e la figura del Nano Ghiacciato fa ritorno come spettro appeso a testa in giù fra noi e Ferrara, il più intelligente e bullonato per chiara fama dei suggeritori del premier, lo stesso che a più riprese, perfino dalle colonne familiari del Foglio ha avuto modo di invitarlo ora “a non rompere più il c…” (sic) ora a “scusarsi pubblicamente” per le proprie intemperanze sia pure “da prigioniero dell’accanimento giudiziario”.
Visto che, sempre parola di Giuliano Ferrara, B., anzi, il Cav., come sempre su quel giornale viene evocato il principale, sarebbe un “eroe popolare” al pari, c’è da immaginare, di un Bartolomeo Colleoni, di un Meo Patacca, giusto per restare nella rassicurante koinè capitolina. Ora, che Ferrara abbia contribuito a far sì che Berlusconi apparisse pubblicamente come l’unica forma di possibile avanguardia artistica italiana (al pari del già testato futurismo di Marinetti) presso certe classi intellettualmente agiate in versione liberal su questo non ci piove, restano comunque a disposizione dei perplessi alcuni dettagli, solo apparentemente marginali, meglio, sovrastrutturali.
Già, Giuliano Ferrara sembra tuttavia ignorare che al pari della capacità di produrre ironia e sarcasmo perfino di fronte al senso delle istituzioni e delle virtù repubblicane gettate nel fondo di un bidè in nome di una patologia che, sempre per restare nel romanzo popolare, prende il nome di fregnite (o sorchite) acuta, anche alla controparte restano alcune considerazioni non meno brillanti di quelle in suo possesso. Si sarà accorto Ferrara che per merito o colpa del suo idolo perfino un’istituzione che ritenevamo inattaccabile come Miss Italia sembra vacillare sotto i colpi del suo personale collocamento? Insomma, Miss Italia è stata sconfitta da Miss Patonza. Da un eroe popolare non ci saremmo mai aspettati quest’ennesimo atto di irresponsabilità, di quelle che meritano l’ennesimo avviso di comparizione. La fregnite acuta è davvero una terribile malattia.
Il Fatto Quotidiano, 25 settembre 2011