Oggi alle ore 8 su Raitre è ricominciato Agorà di Andrea Vianello, in anticipo di un’ora sul palinsesto per contrastare Omnibus su La7. La variazione oraria ha un doppio significato: le chiacchiere politiche piacciono durante la colazione (oppure, le televisioni pensano che sia così), La7 è ascesa al rango di concorrente Rai. Altra curiosità: divertente che viale Mazzini lasci campo libero di sera all’emittente Telecom, nella fascia più corposa di spettatori e pubblicità, e si preoccupi, invece, di presidiare l’alba. I picchi d’ascolto di Ballarò, i buoni risultati di Piazza Pulita e l’Infedele dimostrano che il pubblico ha fame d’informazione. L’abbiamo esaminato la settimana scorsa con i numeri di share e di ascolto.
Rai e Mediaset dimenticano, però, che la fame è ragionata, non vorace e casuale. Se Rai2 propone l’Ultima Parola di Gianluigi Paragone in prima serata, lì dove c’era Annozero, anche se di venerdì anziché di giovedì, racimola un modestissimo 6,8 per cento di share, due punti in meno rispetto a una media di Rai2 già ridimensionata negli ultimi mesi. Se Bruno Vespa, per un riflesso incondizionato, cala l’asso di cronaca mentre succede il finimondo fra Borse sgonfie e intercettazioni succose sui festini del Cavaliere, il pubblico lo punisce: sotto il 10 per cento di share, quando Rai1 resiste sopra il 17. Se Alessandro Banfi, condirettore di Videonews, la testata onnicomprensiva di Mediaset, prova a cucinare un po’ d’informazione per il Biscione, ecco che Rete 4 cala al 3,5 per cento di share.
La televisione è abitudine, e anche fiducia. A Mediaset c’è un digiuno di informazione dai tempi del Matrix di Enrico Mentana, un programma completamente opposto al varietà di Alessio Vinci. L’esempio più grosso, per tante ragioni, viene da Qui Radio Londra di Giuliano Ferrara. Non è una trasmissione, ma un monologo a piacere ogni giorno, dal lunedì al venerdì, nel punto più importante del palinsesto di Ra1, il canale principe. La predica del direttore del Foglio dura soltanto cinque minuti, eppure, in quel tempo così sfuggente, accade l’impensabile: centinaia e centinaia di famiglie cambiano canale e poi migliaia e migliaia. Una diaspora che spinge fuori da Rai1, dal Tg1 di Minzolini al gioco premi, oltre 2 milioni di italiani. Dunque, a Mediaset rinunciano a fare informazione serale, in viale Mazzini pure, mentre La7 imbarca protagonisti e programmi cercando l’acuto nella continuità, e non viceversa.
A Rai2 sono disperati perché la rete è una sorta di cestello per i panni sporchi, dove finiscono serie televisive ormai comprate a caro prezzo e programmi d’intrattenimento improponibili per Rai1. Il direttore Massimo D’Alessandro pensa di affidare una prima serata, magari nel giovedì che fu di Michele Santoro, a uno fra Gianni Minoli e Antonello Piroso. I due hanno qualità diverse, molto diverse, riusciranno a non subire il Paragone? Nel senso, la pessima figura de l’Ultima Parola.
Il Fatto Quotidiano, 25 settembre 2011