Stanchi ma sereni, sulla via del ritorno di una giornata veramente bella, quanti eravamo? Non saprei 200.000 forse o anche di più ma l’importante è “come” eravamo: il popolo della pace spontaneo, colorato e unito; dai giovani italiani di altro colore figli dell’immigrazione, fieri e felici della doppia identità, agli scout con i simboli del pacifismo incollati sulle tradizionali divise o dipinti sul volto, ai militanti, attivisti di ieri e di sempre,incanutiti ma con i loro nipoti a prosegurne l’impegno.
Anche i sindaci col tricolore non erano stonati o paludati, a dimostrazione che politica non per forza deve voler dire separatezza come oggi il senso comune, induce a ritenere. Un popolo in festa e proteso verso una società che si fondi su altri valori condivisi, del tutto opposti ai “disvalori” che vorrebbero farci introiettare, attraverso una legittimazione imposta che il popolo sano rifiuta con tutta la propria determinazione.
“Atei e credenti, bianchi e neri, palestinesi e israeliani, africani ed asiatici, tutti uniti per un mondo di pace più giusto e più libero”. Questa è ancora oggi ed ancor di più la lezione della marcia, fondata da Capitini e che rimane forse tra le più alte rappresentazioni dell’Italia migliore nel mondo.
Ne abbiamo tanto bisogno in questa deriva che sembra senza fine. Com’erano lontane e piccole le miserie dei “Palazzi” romani con la “corte dei miracoli” del circo berlusconiano che cerca disperatamente di restare aggrappato alla sua traballante zattera di disperati che lo sorregge ancora, mentre si addensano le nubi della tempesta finale.