La class action è stata promossa dagli stessi correntisti degli istituti di credito contro l’applicazione “occulta” delle contestate commissioni di massimo scoperto. La decisione è stata presa dal tribunale di Torino
Adesso è ufficiale. L’associazione di categoria Altroconsumo è formalmente autorizzata a portare in tribunale l’istituto di credito Intesa Sanpaolo nell’ambito di una class action promossa dai suoi stessi correntisti contro l’applicazione “occulta” delle contestate commissioni di massimo scoperto. Lo ha stabilito in via definitiva la Corte d’Appello di Torino respingendo l’istanza della banca che mirava a bloccare sul nascere l’azione collettiva. Nella sua sentenza, precisa una nota diffusa dalla stessa associazione, il tribunale torinese ha infatti ritenuto che Altroconsumo “rappresenti adeguatamente gli interessi dei correntisti”, affermando, di conseguenza, il diritto dell’ente di procedere nelle aule di giustizia.
“E’ un risultato senza precedenti per i correntisti bancari coinvolti e per i consumatori più in generale, in un momento di grave sofferenza finanziaria del Paese e dell’intera area Euro, e di discussione sulla credibilità del settore bancario” ha dichiarato il presidente di Altroconsumo Paolo Martinello. “La trasparenza e il rispetto delle regole – ha aggiunto – sono criteri da applicare irrinunciabilmente alla propria clientela e utenza. In mancanza, i diritti dei correntisti devono poter essere tutelati attraverso il nuovo strumento della class action, che per la prima volta in Italia viene ammesso nei confronti di un importante istituto bancario, per una vicenda che coinvolge migliaia di consumatori”. Per arrivare a una sentenza di primo grado, si stima, dovrebbero trascorrere non meno di due anni.
La vittoria incassata dall’associazione si configura, dunque, come una tappa intermedia di un percorso ancora potenzialmente lunghissimo – il tribunale deve ancora fissare tempi e modi per la raccolta delle adesioni e l’avvio dell’azione legale – ma, al tempo stesso, rappresenta anche un evento di portata notevole. Pesante, infatti, il precedente stabilito dalla Corte che, con la sua decisione, potrebbe ora dare il via a una nuova ondata di cause sul fronte di un tema caldissimo. Insomma, dopo i Tango bond e i derivati degli enti pubblici, i tempi potrebbero essere ora maturi anche per una richiesta di risarcimento su quei costi extra formalmente aboliti da una norma di due anni fa, ma misteriosamente riapparsi nell’inestricabile foresta dei dettagli contrattuali a disciplina della relazione banca/cliente.
Riassumendo: la commissione di massimo scoperto non è altro che la percentuale pagata dal correntista sul deficit del proprio deposito, ovvero, la “multa” imposta sul conto quando quest’ultimo va in rosso. Un balzello, per così dire, che è stato spesso giudicato iniquo anche da voci piuttosto autorevoli del settore finanziario, a cominciare dal futuro presidente Bce Mario Draghi che, nel 2008, parlò apertamente di “istituto poco difendibile”. Talmente poco difendibile, in definitiva, da essere sostanzialmente abolito (con l’eccezione di pochi casi) nel 2009 da un decreto poi convertito in legge. Ma anche talmente conveniente (si parlò nel 2009 di introiti complessivi pari a 10 milioni di euro al mese per il sistema bancario italiano) da essere riproposto dagli istituti di credito con altri nomi e medesimi effetti. A qualche mese di distanza dall’entrata in vigore del decreto, ad esempio, Intesa Sanpaolo aveva sostituito la vecchia imposta con la rinnovata “commissione per scoperto di conto” equivalente a 2 euro per ogni 1000 (o frazione di scoperto) e per ogni giorno di “rosso” contabile fino ad un massimo di 100 euro ogni tre mesi. Un’analisi condotta nel maggio 2009 da Altroconsumo aveva fatto emergere comportamenti del tutto simili (ma a costi ancora più onerosi per il correntista) da parte di Unicredit, Monte dei Paschi, Banca Sella e Bnp.
Raggiunto telefonicamente, il presidente di Altoconsumo Paolo Martinello ha chiarito i motivi che hanno spinto l’associazione a tentare una causa, per il momento, soltanto contro Intesa. “Si tratta di una scelta non solo simbolica ma anche pratica – ha spiegato – dal momento che parliamo del principale istituto di credito italiano, quello con il maggior numero di correntisti”. La strategia è chiara: adesso, ha precisato ancora Martinello, è necessario aggregare il maggior numero possibile di querelanti e raccogliere indicazioni importanti per ipotetiche iniziative future nei confronti di altre banche. Iniziative, queste ultime, “che saranno valutate eventualmente in seguito”. Per il momento occorre soprattutto sperare nella voglia di molti correntisti di avviare una causa per questioni di puro principio. Le singole somme contestate non arrivano in molti casi alla decina di euro.