“Non torneranno più le merendine di quando ero bambino, i pomeriggi di maggio… le merendine con pane e cioccolata”. Lo ripeteva ossessivamente Nanni Moretti in Palombella Rossa, rimpiangendo le (apparenti) piccole cose del tempo che fu. La scomparsa di Sergio Bonelli ha suscitato reazioni analoghe. Nei blog, nei social network, ovunque. Il cordoglio è unanime, partecipe, commosso. Si avverte la sensazione di un’epoca irrimediabilmente conclusa.
La morte dell’editore di Tex e del padre di Zagor (con lo pseudonimo di Guido Nolitta), sancisce una sorta di addio alle armi trasversalmente condiviso. L’era – adolescenza, ma non necessariamente – in cui ci si affezionava alle avventure mensili di chi viveva immerso in mondi lontani. Ora il west, ora una Londra da incubo, ora una New York misterica.
Molti, adesso, rilanciano il dibattito vetusto se il fumetto sia o no arte. E’ una domanda capziosa e sterile, come quella (analoga) sul cantautorato. E’ arte, è poesia? Risposte che i lettori di Bonelli hanno sempre conosciuto. Certi albi di Tex erano capolavori. E così Martin Mystère, e Dylan Dog, e Mister No, e Nathan Never, e Magico Vento (ma sì, al limite anche Nick Raider e perfino Dampyr).
Bonelli, con i suoi autori e disegnatori, ha fabbricato mondi altri. Universi così illogici e distanti da apparire credibilissimi. Eroi e antieroi, accomunati da slancio utopico, lieto fine (non sempre) ed esclamazioni improponibili: Tizzone d’inferno, Per tutti i tamburi di Darkwood, Per mille scalpi, Carramba Y Carambita, Giuda ballerino, Mgggghhm (Java, il neanderthaliano). E poi il ciuffo bianco di Nathan Never, uno che non ha praticamente mai riso in vita sua (e ci credo, considerati la vita che conduce e il passato che si ritrova).
Sergio Bonelli ha generato appartenenza. I migliori fumetti seriali italiani, Lazarus Ledd a parte, erano tutti suoi. Se fate un sondaggio sugli attuali trenta/quarantenni, una percentuale incredibilmente alta vi dirà che ha pianto leggendo Johnny Freak. C’è chi custodisce gelosamente la copia originale de La mano rossa e chi ricorda con affetto il primo disco di Ligabue unicamente per la citazione di Zagor Te-Nay (in Freddo cane in questa palude).
Bonelli, degno figlio di cotanto padre (Gian Luigi), è stato Indagatore dell’Incubo e Aquila della Notte. Poliziotto contrastato e Detective dell’Impossibile. I suoi albi erano parentesi attese, camere di compensazione: approdi fantasticamente reali.
Grazie, Sergio. Per ogni cosa che è stata e non può evaporare.