La requisitoria durissima e richieste di condanna esemplari: gli atti più gravi sono l'aspetto razziale ("diventa spacciatore solo perché negro") e il falso ideologico. "Nessuno tra gli imputati in aula si è alzato per chiedere scusa"
Il ragazzo fu arrestato “illegittimamente” dal nucleo di pronto intervento della municipale il 29 settembre del 2008, nel corso di un’operazione antidroga nel parco Falcone e Borsellino e poi malmenato e insultato a lungo.
L’accusa ha argomentato per circa otto ore le ragioni per le quali gli otto imputati devono essere condannati. “Emmanuel Bonsu è il ‘negro’ che diventa a un certo punto di questa storia il palo di uno spacciatore soltanto perché è un ‘negro’. L’aggravante razziale contraddistingue questa vicenda”. Così in uno dei passaggi della sua requisitoria la pm Licci.
Il sostituto ha puntato il dito, in particolare, nei confronti del malinteso spirito di corpo che ha animato tutti gli imputati a giudizio sin dalle prime battute della vicenda Bonsu. “Ancora oggi”, ha detto, “non si sa chi ha colpito all’occhio sinistro Bonsu. In quest’aula nessuno degli imputati si è finora alzato per dire mi dispiace. Gli agenti, l’ispettore e il commissario capo a giudizio hanno posto in essere una continua mistificazione degli atti per coprire quanto era accaduto e trarre in inganno l’autorità giudiziaria”.
Per l’accusa il reato più grave è “il falso ideologico aggravato” perché “commesso da pubblici ufficiali che dovrebbero avere, invece, a cuore il bene comune”. Per quattro degli imputati la pm ha chiesto l’interdizione in perpetuo dai pubblici uffici. Si tratta di Mirko Cremonini (otto anni e sette mesi), Pasquale Fratantuono (nove anni e tre mesi), Stefania Spotti (otto anni e otto mesi) e Simona Fabbri (nove anni). Per questi imputati richieste anche le pene più elevate. Per gli altri, oltre alla detenzione, chiesta l’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni.