Un omicidio maturato nell’ambiente della prostituzione, ipotizzano gli inquirenti, ma sul quale ancora c’è poca certezza. Un giovane rumeno di 25 anni è stato ucciso ieri sera a Bologna con una coltellata al cuore, colpito a circa 200-300 metri dal punto in cui è stato trovato il cadavere. Si sarebbe allontanato in auto e poi accasciato. Chi lo avrebbe ferito a morte è poi fuggito a bordo di un’altra auto, una Yaris grigia. Un’ipotesi è che la vittima conoscesse il suo assassino, ma per ora le forze dell’ordine, il pm di turno Stefano Orsi e il medico legale altro non sono riusciti a scoprire, vista la difficoltà di raccogliere testimonianze. La zona del delitto è vicina all’asse attrezzato dove è ampiamente esercitata la prostituzione, in via Battindarno, ma a carico del giovane deceduto non ci sono precedenti di polizia.

A Bologna la prostituzione di strada è un mercato florido. Più di milleduecento ragazze, di origine rumena o nigeriana, ogni sera vendono il loro corpo sulle strade della città. Ma una Bologna solidale c’è, e si muove silenziosa e incisiva. Strada per strada, da un marciapiede all’altro. Il furgoncino va e i volontari dell’”Albero di Cirene” continuano il loro lavoro, anche se a volte il vecchio mezzo sembra volerli lasciare a piedi. I ragazzi fanno parte di una Onlus di volontariato, che ha sede nella parrocchia Sant’Antonio di Savena in via Massarenti, a Bologna. Si occupano di ragazze di strada; per lo più africane. Il loro progetto si chiama “Non sei sola”, ed ha l’obiettivo di aiutare, assistere e fare compagnia alle giovani prostitute.

Elena è da più di due anni nel gruppo dei volontari, ma sembra conoscere le ragazze di strada da molto più tempo: “noi vogliamo umanizzare il rapporto con queste giovani donne, che non si sentono altro che domandare quanti soldi vogliono per le prestazioni sessuali. Ormai le conosciamo da tempo. Chiediamo se vogliono da bere, da mangiare, se hanno bisogno di qualcosa e dopo qualche chiacchiera chiudiamo l’incontro con una preghiera”.

Sono numerose le prostitute africane sul territorio, soprattutto nigeriane. Molte di loro sono vittima della tratta internazionale degli esseri umani. “Durante l’inverno il loro numero sembra assestarsi, ma arrivata la primavera aumentano notevolmente, di anno in anno”. Secondo alcuni dati elaborati nel 2010 dall’associazione Parsec, in Emilia Romagna le ragazze forzate alla prostituzione nel biennio 2008-2009 sono state circa mille-milleduecento, su un totale di 20-24 mila giovani sfruttate in Italia. Nello stesso anno è stata stimata una presenza del 42 per cento di donne provenienti dalla Nigeria, 25 per cento dalla Romania, 5 per cento albanesi. Ma dall’inizio del 2000 le ragazze sono aumentate vertiginosamente, di più del doppio.

Durante l’inverno sono sul loro marciapiede, nonostante il freddo o la pioggia, la neve o la nebbia. Offrono il loro giovane corpo a quelli che chiamano “i clienti”. I volontari dell’”Albero di Cirene”, nelle loro quattro uscite settimanali, cercano di restituire dignità umana, negata dagli sfruttatori e dai clienti, offrendo aiuto ai loro bisogni e sensibilizzando inoltre l’opinione pubblica.

Riccardo, da 5 anni fra i volontari e uno dei coordinatori del gruppo, racconta che “le ragazze rumene, ucraine e albanesi sono sempre controllate da alcune macchine ed è più difficile instaurare un rapporto con loro”. Diversa è la situazione per le nigeriane. Queste ragazze, alle quali è difficile riuscire ad attribuire un’età, sono controllate dalla loro “madame”. Riescono ad arrivare in Italia con l’aereo o con i barconi, sempre aiutate dalla mafia nigeriana che procura i documenti e si occupa dei trasporti. Successivamente il controllo, per lo più a distanza, passa in mano alla “madame”. Quest’ultima è spesso una vecchia prostituta che applica il modello di sfruttamento a cui era sottoposta ad altre ragazze. Ci vogliono dai quattro ai cinque anni per liberarsi dal vincolo che hanno con colei che le controlla: bisogna arrivare a pagarle dai 60 ai 70 mila euro. Ma con i soldi racimolati a fine serata dovranno anche occuparsi delle spese per i vestiti, del cibo, dell’affitto ed inoltre del marciapiede, spesso in mano a organizzazioni malavitose della zona. Lo chiamano “joint”; non possono mai spostarsi dal punto assegnato. I rischi? Sconfinare nel “territorio” di un’altra prostituta, e arrivare alle mani.

Trascorsi quegli anni di inferno le ragazze sono libere. Ma la precaria conoscenza della lingua, l’incapacità di spostarsi per la città, conoscendo di fatto soltanto il tragitto casa-marciapiede, rende la loro vita ancora più complessa. Molte di loro, inoltre, non abitano nelle città in cui si prostituiscono. Alcune vengono da Casalecchio, da Parma o Ferrara; altre da Verona, Rovigo o Padova.

Ogni giorno il treno le porta in città e dalla stazione riescono ad arrivare nella loro postazione grazie a quelli che chiamano i “papagiri”, clienti che fanno anche da autisti. Capita che ottenuta la tanto desiderata “libertà”, si ritrovino senza documenti e idee per il futuro, tornando così sul marciapiede o trasformandosi in madame.

Un aspetto certamente curioso e incredibile è quello che riguarda le loro credenze. Vengono controllate a distanza, infatti, e non sarebbe difficile fuggire o allontanarsi dalla strada per cercare rifugio in una delle tante associazioni che si occupano di prostitute. Ma è quasi impossibile allontanarle dal loro joint. “Queste ragazze – racconta Elena – sono assoggettate alla “madame” attraverso un rito magico, un rito voodoo. Ci credono ciecamente e allontanarsi, fuggire, significa sfortuna, malocchio”.

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