Qualche puntino sulle “i” a proposito del pezzo apparso sul Fatto Quotidiano di ieri, Il Corriere senza i baci di Alberoni, le Gran Banal secondo Marco Travaglio.
Tanto per cominciare, Francesco Alberoni non ha fondato la Facoltà di Sociologia dell’ancor Libera e sarà celebre Università di Trento, che venne invece istituita con una legge del Senato della Repubblica del ’65, passata per il rotto della cuffia grazie all’opposizione di comunisti & psiuppini, mentre un emendamento trasformava la laurea in sociologia, allora unica in Italia, in una equivoca laurea in “Scienze Politiche e Sociali a indirizzo socio/logico”.
Per contestare questo indirizzo, il 24 gennaio del ’66 il movimento studentesco di cui facevo parte occupò la facoltà facendo sventolare, dalla facciata della sede universitaria di via Verdi, uno striscione con la scritta a caratteri cubitali “S o c i o l o g i a”, così rivendicando il diritto studiare la sociologia per lo più amerikana degli Stuart Mill, Herbert Marcuse, Noam Chomsky, and so on.
Divenuta quindi, grazie a noi studenti, facoltà sociologica a tutti gli effetti, nel ‘67, con un anno di anticipo su Parigi, ri-occupammo l’università per contestare un’autorità accademica ormai disarcionata e confusa, al punto di non riuscire a inaugurare quell’anno accademico, durante il quale alcuni di noi cominciarono a dedicarsi a un progetto di Università Critica, mentre altri preferirono facilitare il crollo dell’università borghese nella speranza di coinvolgere tutto il sistema, come nel caso di Renato Curcio che difatti fondò l’Università Negativa.
Con lo scoppio del ’68 l’assemblea generale di noi studenti si suddivise in diverse commissioni che, tra l’altro, si dedicarono a un nuovo piano di studi ridisegnando nuovi corsi, come per esempio quelli su istituzioni come carceri, ospedali psichiatrici & affini, che avrebbero portato a Trento personaggi come Franco Basaglia, Franco Fornari, Carlo Tullio Altan, Paolo Flores d’Arcais ma anche Beniamino Andreatta e molti altri.
Quindi, quando la star socio/logica Franz von Alberon, come da subito l’appellammo, approdò a Sociologia, trovando scodellata la pappa dei nuovi corsi e dei nuovi docenti, molti dei quali nominati da noi studenti, fece sue quelle idee, concetti e propositi.
Tanto è vero che in un anno imprecisato dei primi 2000 – chiedo venia per il vuoto di memoria – mi capitò di assistere incredulo a un convegno fiorentino sponsorizzato da Marcello dell’Utri al quale, mentre presiedeva una platea di berluscones sgomitanti, capitò di plaudire a Franz che si attribuiva il merito d’aver gestito con “metodi manageriali” l’università più ribelle & rivoluzionaria di quei fottuti anni, senza che nessuno di quel liberale (sic!) consesso, osasse dubitare delle parole di questo improvvisato paladino di un neo liberal/ismo allora assai di moda.
Affermazioni che posso fare avendo continuato a frequentare Franz anche dopo la laurea, come aficionado di quel suo Centro di Ricerca Sociologica di Milano San Felice, città satellite nei pressi di Linate, dove Franz conduceva vita sontuosa in una villetta messagli a disposizione da Anna Bonomi Bolchini, storica protagonista dell’italica finanza, nonché madre di Carlo, il quale avrebbe in seguito sfrattato Franz con queste parole: “Abbiamo visto professore i risultati della sua missione a Trento”…
Al Crs infatti il celebre e s/pregiudicato sociologo munito di spider con amante incorporata, gestiva un cenacolo grazie al quale, a noi giovani precari d’allora, offriva l’opportunità di incontrare manager dei più svariati campi. Incontri di cui spesso Franz pubblicava i resoconti, sulla rubrica del Corsera del lunedì, come esclusiva farina del suo sacco.
Con Franz ruppi quando alla Fondazione Agnelli, di cui ero consulente, mi avvertirono che il nostro non mi riteneva adatto a svolgere una ricerca sulle nuove tecnologie di comunicazione , i cui dati vennero poi intercettati da un giovane im/prenditore che nella sua Milano 2, stava aprendo Telemilano – “la madre della Fininvest e di tutto il resto” – come il futuro Caimano avrebbe avuto modo di precisare in seguito su l’Espresso (9 settembre 1984).
Rompere i rapporti con Franz, equivaleva, come credo ancor oggi equivalga, a essere emarginati da uno qualunque dei numerosi campi in cui il pensatore multifunzionale per eccellenza ha avuto modo di scorrazzare indisturbato per decenni e, a quanto pare, minaccia di continuare a imperversare, almeno a giudicare la notizia di una sua rubrica prossima ventura sul foglio igienico di Feltri, Sallusti & Co.
Alberoni “all’alba dei suoi 82 anni – conclude Silva Truzzi – si potrebbe serenamente concedere di uscire di scena con eleganza”. Un tratto di cui il gatekeeper (guardiano di accesso alle porte dei saperi) Franz non necessitava, visto & considerato che il gatekeeper italico tipo, a differenza di quello anglosassone, oltre al campo d’intervento suo proprio, nel caso di Franz quello sociologico, finisce inevitabilmente per controllare quasi tutti i campi in cui è stato chiamato, a suon di gettoni di presenza, volgarmente definiti marchette, divenendo una sorta di ras tuttofare nei più svariati ambiti dell’industria, della pubblicità, della televisione, della moda e chi più ne ha più ne metta.
E’ così che a Franz il partito della così/detta libertà conferì persino la direzione del Centro Sperimentale di cinematografia, con i risultati a tutti evidenti.
Louis-Ferdinand Cèline, a proposito di coloro che tanto s’adoperarono per emarginarlo, ebbe a dire che erano massi che gli ingombravano il binario. Oggi di quei babbioni ricordiamo a stento i nomi, mentre Cèline è noto a gran parte di tutti noi. Anche se i tempi correnti inducono a prevedere che, al posto di alcuni massi, i posteri si ritroveranno affranti da una sorta di pulviscolo atmosferico, costituito dalla produzione culturale che personaggi come Franz von Alberon hanno contribuito a diffondere nei più svariati campi della conoscenza relazionale & via discorrendo.