Verrà ricordato come il sindaco degli scandali. In realtà, Pietro Vignali, era una promessa della politica, non solo quella emiliana. Nel 2007 è candidato sindaco, dal suo esperto caposcuola Elvio Ubaldi nella lista civica sostenuta dal centrodestra Per Parma con Ubaldi e con il 56,57% dei voti diventa primo cittadino battendo al ballottaggio del 10 e 11 giugno Alfredo Peri del centrosinistra.
E da qui, per lui, sono iniziati i guai. L’esecutivo guidato dal sindaco Vignali si insedia nella primavera 2007 e dopo pochi mesi Carmelo La Mantia abbandona l’agenzia alle Attività produttive che torna nelle mani del primo cittadino. A settembre 2008 scoppia il caso Bonsu, il giovane ghanese pestato dai vigili urbani perché scambiato per uno spacciatore. L’allora assessore della sicurezza, Costantino Monteverdi, insieme al comandante del vigili, Emma Monguidi, si dimettono, lasciando posto a Fabio Fecci e Giovanni Maria Jacobazzi.
Sarà proprio Jacobazzi, ex carabiniere chiamato a ripristinare l’ordine nella polizia municipale, a finire in manette tre anni dopo per l’inchiesta “Green money“, con l’accusa di corruzione e tentata concussione. Prima degli arresti, però, Vignali ha cambiato qualche assessore per evitare disequilibri nei partiti: nel febbraio 2009 entrano in giunta Giorgio Aiello (padre di Andrea, suo collaboratore), Gianluca Broglia, Roberto Ghiretti, Giuseppe Pellacini, Luca Sommi e Luigi Tanzi che lascia però l’assessorato a Davide Mora. Nel 2009 anche Giampaolo Lavagetto abbandona l’assessorato alle politiche scolastiche, perché candidato alle elezioni provinciali e perché coinvolto in un inchiesta su presunte telefonate e visite a siti hard con il cellulare comunale. L’assessorato, guarda caso, finì proprio nelle mani di Giovanni Paolo Bernini, già responsabile dell’agenzia per i disabili. Prima di ‘Green money’, inoltre, Vignali viene condannato dalla Corte dei Conti, insieme ad altri amministratori, a pagare 370.000 euro per la stipula di assicurazioni illegali.
A giugno 2010 finisce in manette il nuovo comandante dei vigili, Jacobazzi, insieme a due dirigenti comunali (Moruzzi e Iacovini) e il presidente della partecipata Engioi. Indignati abbandonano immediatamente il campo l’assessore alla cultura Luca Sommi e quello alle politiche abitative, Giuseppe Pellacini, dell’Udc.
Finita l’estate decidono di prendere le distanze dal sindaco anche i civici: Cristina Sassi, Roberto Ghiretti, Francesco Manfredi e Lorenzo Lasagna, insieme al delegato Ferdinando Sandroni. Il sindaco però non demorde: non si dimette, ma anzi azzera la giunta e la rinnova chiamando esponenti dell’unico partito che l’appoggia: il Pdl. E appena dopo due giorni l’amara verità: si scopre che Vincenzo Simonazzi, neo assessore alle partecipate, è già sotto inchiesta per frode ai danno allo Stato, mentre l’assessore Giovanni Paolo Bernini viene arrestato per corruzione e tentata concussione. Dalle stelle, alle stalle.
Senza contare quello che Vignali lascia: un buco da 600 milioni di euro che fa rischiare seriamente a Parma una bancarotta.