Il ministro del tesoro chiede a Napolitano la nomina del suo candidato Vittorio Grilli. E Umberto Bossi gli fa da sponda
Per essere un ministro sull’orlo delle dimissioni, prossimo a essere ingabbiato in una cabina di regia, sfiduciato dal premier, Giulio Tremonti si dimostra piuttosto vitale. Ieri è perfino salito al Quirinale, non per dimettersi, ma per sottoporre per l’ennesima volta a Giulio Napolitano la candidatura di Vittorio Grilli alla poltrona di governatore della Banca d’Italia. Il ministro conta sulla sponda di Umberto Bossi: il leader leghista, ieri sera nel vertice a palazzo Grazioli con il Cavaliere ha messo il veto su Fabrizio Saccomanni, attuale direttore generale della Banca d’Italia e favorito alla successione di Mario Draghi. E oggi Bossi ha ripetuto, questa volta esplicitamente, il suo favore: “Preferisco Grilli, se non altro è di Milano”.
Grilli, che è direttore generale del Tesoro, ha il curriculum giusto per diventare governatore ma sembrava definitivamente fuori dalla partita perché considerato troppo vicino a Tremonti, quindi non compatibile con l’indipendenza anche formale della Banca d’Italia dall’esecutivo. Il Quirinale, che formalmente non si schiera, ha però fatto capire in modo abbastanza chiaro di preferire una transizione senza strappi: meglio la scelta interna di Saccomanni che l’imposizione dall’esterno di Grilli, anche se la Banca d’Italia nella storia ha avuto molti governatori che non venivano dalla struttura.
Le cose, insomma, si stanno complicando. Il consiglio superiore della Banca d’Italia oggi si è riunito in seduta ordinaria, nonostante si fosse diffusa l’aspettativa di una seduta straordinaria per valutare un nome indicato da palazzo Chigi. Invece niente.
Visto che nessuno dentro il governo riesce ad arginare Tremonti sulla politica economica, il ministro può convincersi, forse a ragione, di poter condizionare anche la scelta del governatore. Procedura nella quale il ministero del Tesoro non avrebbe formalmente alcun ruolo. Se così è tutto torna in discussione e di tempo non ce n’è molto, visto che Draghi lascerà la Banca d’Italia per trasferirsi alla Bce, a Francoforte, già a novembre. “Qui si va alle calende greche”, dicono nei corridoi di via Nazionale, dove ci sono poche certezze. Primo: Saccomanni è il candidato naturale, non c’è alcuna ragione di preferirgli l’attuale vicedirettore generale Ignazio Visco (che potrebbe essere il prossimo direttore generale).
Seconda certezza: Lorenzo Bini Smaghi ha promesso a Nicolas Sarkozy di lasciare il suo posto nel direttivo della Bce a un francese, quando Draghi sostituirà il francese Jean Claude Trichet alla presidenza. Ma ha giocato male la sua partita, rendendo troppo scoperte le sue richieste e con troppe gaffe, per avere ancora diritto a una poltrona riparatrice. “É un problema di Bini Smaghi con Sarkozy”, dicono un po’ tutte le parti coinvolte nella partita.
Silvio Berlusconi non si è mai molto appassionato al dossier, si è convinto a sostenere Saccomanni più per indicazione di Draghi che per scelta individuale. Ma se adesso Tremonti torna alla carica, magari con la sponda della Lega che non è proprio avvezza alle sottigliezze diplomatiche richieste nelle questioni riguardanti Bankitalia, tutto può succedere. E vista la crisi di sfiducia attorno al debito pubblico italiano, sui mercati, non è esattamente una buona notizia aggiungere altra incertezza ai dubbi degli investitori.
da Il Fatto Quotidiano 28 settembre 2011