Se lo si prende per quello che è, ossia un acuto e divertente esercizio di stile, l’ultimo saggio di Alain de Botton non delude. “Del buon uso della religione”, recita il titolo. Ma è nel sottotitolo la vera essenza del libro: “Una guida per non credenti”.
Il talentuoso scrittore anglo-svizzero, già autore di saggi di grande successo come “Esercizi d’amore”, “Come Proust può cambiarvi la vita”, “Una settimana all’aeroporto” (tutti, anche quest’ultimo, editi da Guanda) ha incantato i molti fedeli lettori che l’hanno incontrato al Festival della letteratura di Mantova con l’esposizione della sua tesi: gli atei farebbero meglio a smetterla di confutare l’esistenza di Dio e a studiare invece come e perché le religioni riscuotano da millenni un enorme successo. In particolare, quali sono “i trucchi” con cui cattolicesimo, ebraismo e perfino il buddismo (sull’islam nemmeno una parola: timore di qualche fatwa?) convincono enormi masse di esseri umani a credere a quelle che lui, da buon ateo cresciuto in una famiglia di non credenti, considera autentiche baggianate; e come copiare questi espedienti, riadattandoli, per propagandare il culto della cultura, la divinità che de Botton individua come faro dell’umanità.
Il gioco è divertente e pure educato: de Botton non se la prende affatto con i credenti, semplicemente non li considera, perché si rivolge ad altri, e cioè a chi «non riesce a credere ai miracoli, agli spiriti o a storielle di cespugli in fiamme, e non mostra nemmeno un particolare interesse per le gesta di donne e uomini stravaganti», e cioè i santi, una categoria che accosta a quella degli «amici immaginari» cari a tanti bambini (del resto, è convinzione dell’autore che i credenti siano trattati dalle varie chiese proprio come bambini).
Quello che importa a de Botton è individuare i meccanismi della propaganda religiosa, reinterpretarli e applicarli a una società laica da tempo incapace di esprimere e diffondere i propri valori. «Non sappiamo più costruire templi. Non abbiamo strumenti per esprimere la gratitudine. L’idea di leggere un manuale di auto-aiuto ci pare in contrasto con i nostri nobili principi. Rifiutiamo l’esercizio mentale. Di rado vediamo degli sconosciuti cantare tutti insieme» scrive de Botton. Tutti rituali confortanti, raffinati o semplicemente affascinanti che appartengono alle religioni e dei quali si fatica, invece, a trovare un equivalente nella società laica.
E allora via con il furto legalizzato. Del resto non è quello che hanno fatto i primi cristiani con molti culti precedenti? Già Dan Brown ci ha raccontato come il Natale non abbia in realtà nulla a che vedere con la nascita di Cristo e molto invece con le celebrazioni pagane del solstizio d’inverno. Perché, dunque, non celebrare e ritualizzare altre feste laiche?
Comunità, Gentilezza, Istruzione, Tenerezza, Pessimismo, Prospettiva, Arte, Architettura, Istituzioni sono i titoli dei capitoli in cui de Botton si esercita a suggerire un uso riveduto e corretto dei vecchi espedienti grazie ai quali nel corso dei secoli le religioni hanno catturato e moltiplicato i fedeli.
Prendiamo la comunità: «La società moderna ci promette l’accesso a una sola comunità, quella basata sul culto del successo professionale. «Che lavoro fai?» è la prima domanda che invariabilmente viene posta al tizio o alla tizia incontrati a una festa. Lo status che ci identifica è stampato sul biglietto da visita. La comunità dei fedeli cristiani è invece un insieme di casuale di anime unite solo dalla comune adesione a valori specifici. E la messa il luogo dove persone diverse per età, censo, istruzione, professione, s’incontrano e rafforzano il legame di appartenenza al grande insieme, cioè alla Chiesa.
Come riprodure un meccanismo analogo per i laici? «Tenendo ben presenti i meccanismi della messa e gli svantaggi dei ristoranti moderni, possiamo immaginare un ristorante ideale del futuro, il ristorante Agape (dal greco: amore fraterno, ndr)» azzarda de Botton. «Questo ristorante dovrebbe avere la porta sempre aperta, un arredamento dal design piacevole e richiedere un modesto contributo per l’accesso. (…) Tutti i presenti dovrebbero sentirsi liberi di avviare una conversazione con chiunque. (…) Per il semplice fatto di occupare lo stesso spazio, gli avventori, come in chiesa, dimostrerebbero la loro fedeltà a uno spirito di comunità eamicizia».
Vi sembra irrealistico? Perché ancora non sapete che cosa de Botton propone per fare della cultura la religione dei laici. Una religione che invita a vivere secondo gli insegnamenti della letteratura e dell’arte come fanno i credenti secondo gli insegnamenti della fede. «Per sostituire i testi sacri non ci manca certo il materiale: semplicemente, lo stiamo trattando nel modo sbagliato. Non siamo disposti a trattare la cultura laica in maniera sufficientemente religiosa, cioè a pensarla come a una guida». E quale sarebbe il modo giusto? Intanto la ripetizione dei testi (i Vangeli vengono ripetuti da millenni) e la santificazione degli autori. «Probabilmente i racconti Anton Čechov contengono la stessa quantità di saggezza dei Vangeli, ma le raccolte dello scrittore russo non sono dotate di calendari che ricordano ai lettori di ripassarne periodicamente il contenuto». E in nessuna aula universitaria ci si sogna di ringraziare questo o quell’autore per le perle di saggezza che ci regalano. Certo, è un po’ difficile immaginarsi una lezione sul grande bardo in cui studenti illuminati dalla dalla sua arte lo invochino in coro e ripetano in loop come in una chiesa di Harlem: «Grazie Shakespeare! Grazie William!». Ma quanto è suggestiva l’idea, e quanto si diverte de Botton a prospettarla!