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Bahrein, condannati i medici che prestarono soccorso ai manifestanti feriti dalla polizia

Con l'accusa di complotto contro lo Stato faranno 15 anni di prigione. Ma l'unica colpa è quella di aver rispettato il giuramento di Ippocrate. Le associazioni umanitarie: "Processo farsa"

Venti medici alla sbarra, in Bahrein, per aver fatto il loro dovere. Il tribunale di Manama, la capitale dello stato affacciato sul Golfo persico, ha condannato tredici dottori e infermieri del Salmaniya Medical Centre a 15 anni di prigione. Altre sette persone, sempre dello staff ospedaliero, hanno ricevuto condanne tra i cinque e i dieci anni di carcere. L’accusa era di complotto ai danni dello Stato, ma i fatti raccontano una storia molto diversa. Medici e infermieri infatti sono “colpevoli” di aver rispettato il giuramento di Ippocrate e di aver prestato soccorso ai manifestanti arrivati in ospedale nei giorni roventi della protesta della maggioranza sciita del Bahrein contro la famiglia al governo, gli al-Khalifa, sunnita. Le forze di sicurezza yemenite, lo scorso 16 marzo, dispersero con la forza i manifestanti radunati in Piazza della Perla, sull’onda delle manifestazioni negli altri paesi arabi. Molti feriti furono portati proprio al Salmaniya Medical Centre.

Secondo la pubblica accusa, i medici hanno “occupato abusivamente” l’ospedale, erano in possesso di armi e hanno “incitato all’odio contro il governo, all’odio interno, hanno ostacolato l’applicazione della legge, hanno distrutto proprietà pubblica e preso parte a riunioni non autorizzate con l’obiettivo di minare la sicurezza pubblica e di commettere crimini”. Tutti questi atti, secondo quanto riferito del procedimento dall’agenzia di stampa ufficiale del Bahrein, Bna, sono stati compiuti “con intenti terroristici“. Gli imputati hanno sempre negato le accuse e sostenuto di aver solo fatto il proprio dovere di medici.

Diverse organizzazioni internazionali per la difesa dei diritti umani hanno osservato da vicino il processo, compatibilmente con il fatto che si è celebrato in un tribunale speciale, uno di quelli messi in piedi dal governo del Bahrein proprio per processare i manifestanti. C’era stata la speranza che il processo potesse concludersi in modo favorevole agli imputati, che alcune settimane fa erano stati rimessi in libertà su cauzione. La dura sentenza di condanna ha invece colto di sorpresa molti osservatori e rischiano di riaccendere le proteste nel paese, anche perché non sono le sole condanne comminate contro i manifestanti.

Lo stesso tribunale di Manama, infatti, ha condannato a morte un manifestante e ne ha spedito un altro all’ergastolo per l’accusa di aver ucciso un poliziotto durante gli scontri di piazza del 16 marzo. Inoltre, ieri, la corte di appello del paese ha confermato la sentenza contro altri 21 attivisti del movimento di protesta, tra cui otto esponenti politici dell’opposizione, accusati di e per questo condannati all’ergastolo. “È stato un processo farsa, molto al di sotto degli standard internazionali – ha commentato all’emittente panaraba Al Jazeera Nabil Rajab, del Centro per i diritti umani del Bahrein – Si tratta di un tribunale militare e nonostante molti paesi e molte organizzazioni internazionali abbiano chiesto più volte al Bahrein di non usare tribunali militari per questo tipo di processi, che dovrebbero essere trasparenti ed equi, è chiaro che il governo non ha alcuna intenzione di interrompere questa pratica”.

“Il governo cerca di ignorare l’esistenza di un grande problema politico – ha detto invece Matar Matar, un deputato dell’opposizione – E così lo rende sempre più difficile da risolvere. Il problema è un numero crescente di cittadini del Bahrein chiede riforme politiche”.

La rivolta iniziata a marzo è stata repressa tre mesi più tardi grazie all’intervento militare dell’Arabia Saudita e di altri paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo (Gcc). Gli Usa hanno chiesto al Bahrein di attuare riforme ma non sono arrivati al punto di sostenere apertamente i manifestanti (appoggiati invece dall’Iran, in quanto sciiti). A tenere legata Washington alle scelte della casa degli al-Khalifa sono sia il petrolio che la base statunitense in Bahrein, dove ormeggiano le navi della Quinta flotta.

di Joseph Zarlingo