La mafia è finita (o così pare) perché i latitanti vengono presi in serie, eppure l’antimafia continua a essere l’incubo che incombe inesorabile sulla fragile psiche di governo. Tutti pronti a chiedere rigore e “un forte impegno unitario” nei momenti drammatici e sanguinosi. E altrettanto pronti a sconfessare gli strumenti, le leggi, gli uomini e le donne, i comportamenti in grado di piegare le organizzazioni mafiose alle regole dello Stato democratico. In Italia un giovane che voglia aprire un’impresa affronta un autentico calvario. Una marea di certificati e permessi che (soprattutto quando non si paga) si ottengono con fatiche indescrivibili da questa o quella autorità. Asl, assessorati, polizia municipale, vigili del fuoco e tutti i soggetti immaginabili che possono presentarsi ciascuno con le sue richieste e i suoi umori, negando in una sede ciò che è stato già concesso nell’altra, fornita delle stesse competenze. Una burocrazia in grado di sfiancare anche un bisonte. Fatta in certe aree del paese, non solo a sud, di molti possibili concussori. Lo sanno, questo, i ministri della Pubblica amministrazione e della semplificazione amministrativa (visto che ce ne sono due distinti)? E che cosa hanno fatto in questi anni per le imprese sane e diffuse? Che cosa hanno fatto per impedire a un imprenditore di pensare che è meglio la mafia, perché almeno una volta che l’hai pagata nessuno si azzarda più a venire a chiederti altri soldi? Hanno mai pensato, per esempio, di istituire uno sportello unico dei permessi per lo stesso progetto, con un bell’accordo tra le amministrazioni? Uno sportello unico, un solo interlocutore, un solo responsabile, un sì o un no, regole chiare come in tutta Europa?
Sanno, il ministro della Pubblica amministrazione e della semplificazione amministrativa (visto che ce ne sono due distinti) le follie kafkiane che affogano le università, scoraggiando qualunque visita o collaborazione esterna? Che un ristorante che ospiti dei docenti a carico di un’iniziativa autofinanziata (autofinanziata, ripeto) per essere rimborsato deve presentare non una normale fattura, ma una decina di documenti? Che cosa hanno fatto finora per dare agilità di spesa e di funzionamento a strutture che dovrebbero viaggiare alla velocità della luce e nutrirsi di apporti e relazioni internazionali?
Nel fallimento da ignavia delle semplificazioni ora arriva per fortuna la formula salvifica: aboliamo i certificati antimafia. Controproposta: no, quelli chiediamoli anche per i subappalti di minor valore, monopolio delle imprese mafiose. Quelli chiediamoli, ma guarda un po’, anche per il movimento terra. E vedrete come perfino in quei settori potrà rifiorire la libertà di impresa. Perché, come ci insegnano gli imprenditori stranieri che non investono in Italia, non sono i certificati antimafia la zavorra della nostra economia. La zavorra si chiama mafia. Mario Draghi lo ha detto e documentato con cifre ufficiali. Chissà se lo sa qualcuno, nel governo a tempo perso.
Nella foto, Libero Grassi
Il Fatto Quotidiano, 29 settembre 2011