Il Guardasigilli – attualmente ridotto al ruolo di Guardaspalle del premier – Nitto Palma ha confermato i peggiori sospetti: il Governo vuole portare a casa il ddl anti-intercettazioni nel più breve tempo possibile, esautorando, secondo un costume ormai diffuso, il Parlamento del proprio ruolo e delle proprie funzioni con il voto di fiducia.
Il 12 ottobre i nostri Parlamentari, con ogni probabilità metteranno per iscritto la propria definitiva volontà di legare le mani ai giudici, spezzare le penne dei giornalisti e condannare a rapida estinzione l’informazione libera online.
Tutto nel nome del premier e della sua esigenza di poter contare, in tempi straordinariamente rapidi, su uno scudo mediatico-giudiziario.
Sin troppo ovvio che ci si trovi dinanzi ad un gravissimo attentato alla democrazia, alla nostra costituzione e, soprattutto, ad alcuni dei più sacri tra i diritti fondamentali degli uomini e dei cittadini: quello alla giustizia e quelli a comunicare, informare ed informarsi.
Il Presidente della Repubblica, la Costituzione e i giudici della Consulta, la Convenzione per i diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali nonché i Giudici della Corte di Giustizia chiamati ad applicarla, sono gli ultimi baluardi istituzionali nella condizione di impedire lo “scempio costituzionale” che rischia, altrimenti, di consumarsi nei prossimi giorni o, almeno, di rimuoverne – ma ci vorrebbe comunque del tempo – gli effetti prima che sia troppo tardi.
Se anche questi baluardi di libertà non dovessero rivelarsi in grado – come appare, purtroppo, assai probabile – di fermare la pur vincibile armata antidemocratica del Cavaliere, non resterebbe che la disobbedienza civile, il rifiuto di rispettare – come pure sarebbe dovere di ogni cittadino e impresa – la legge che il Parlamento si avvia a varare.
Rifiutarsi di adempiere a un ordine ingiusto e antidemocratico che, sfortunatamente, proviene da chi, come il Parlamento, le regole democratiche dovrebbe, invece, scrivere.
È a questo punto che la Rete sarebbe chiamata a giocare il ruolo unico, prezioso ed ineludibile che la storia le ha assegnato: quello di strumento facilitatore dell’esercizio di libertà.
Se, davvero, il 12 ottobre il parlamento dovesse varare il provvedimento anti-intercettazioni, il Capo dello Stato mostrarsi incapace di fermarlo sulla porta del nostro Ordinamento e i giudici della Consulta e della Corte di Giustizia dei diritti dell’uomo e del cittadino non fossero in grado di espungerlo, bollandolo come merita, ovvero come una perversa e illegittima forma di asservimento della legge all’interesse privato del premier, toccherebbe alla Rete ridimensionare i Notabili di Palazzo e far loro comprendere che, nel 2011, le leggiucole da azzeccagarbugli di un piccolo Paese come il nostro non possono incidere, in alcun modo, sulle regole dell’informazione globale né fermare il fiume di informazione libera ed indipendente che da anni corre lungo le autostrade dell’informazione contribuendo a travolgere culture e regimi anti-libertari come quello che, oggi, pare instauratosi in Italia.
Le informazioni che in Italia si vorrebbe, con l’alibi – e niente di più – della privacy relegare nei cassetti e negli archivi segreti di pochi – gli stessi che ne vorrebbero vietata la pubblicazione e si riserverebbero il diritto de facto di utilizzarle in inconfessabili operazioni di dossieraggio antidemocratico – potrebbero agevolmente essere pubblicate all’estero, in Paesi, a quel punto – e forse già oggi – più democratici del nostro in forma anonima o, piuttosto, da parte di soggetti disponibili ad assumersi la coraggiosa responsabilità democratica di difendere, qualora necessario, il proprio diritto ad informare da un Paese libero, cittadini liberi di un altro Paese meno libero.
È a questo o, anche a questo, che serve la Rete: a sgretolare confini geopolitici e a spuntare le armi ai nemici – ormai dichiarati – della libertà di informazione.
Certo è triste dover immaginare di disobbedire a una legge per difendere la propria libertà e i propri diritti e lo è ancor di più accettare l’idea di dover chiedere, per farlo, asilo politico-mediatico a un altro Paese, ma è sempre meglio che rassegnarsi supinamente a veder violati e travolti i propri diritti e libertà fondamentali nel nome di piccoli interessi individuali o quasi individuali di un uomo – e della sua cricca – che continua a sentirsi il piccolo Cesare, senza rendersi conto che non ha un impero perché attorno al suo palazzo c’è, ormai, una Repubblica che dispone del più grande strumento democratico di tutti i tempi per arginare e condannare all’esilio il suo vecchio tiranno.
Chi Internet ferisce, di internet – politicamente, si intende – perisce o, almeno, vede andare in frantumi i suoi sogni di utilizzo personale delle istituzioni repubblicane.
È per questo che pur essendo necessario e indispensabile continuare a battersi per scongiurare il rischio che il ddl anti-intercettazioni infligga anche un colpo mortale alla Rete, estendendo all’intera blogosfera l’obbligo di rettifica entro 48 ore e a pena di una sanzione di oltre 12mila euro, occorre non lasciare che l’approvazione di uno dei tanti emendamenti presentati – possibile anche se improbabile – non disinneschi e non arresti la straordinaria mobilitazione online contro il ddl intercettazione come se si fosse portato a casa il risultato ambito e sperato.
Il bene che si intende difendere e tutelare con la protesta online e offline di questi giorni è la libertà di informazione e, Internet, altro non è se non uno strumento per il suo esercizio con l’ovvia conseguenza che blogger, società civile eil mondo dell’informazione tutto devono condividere, sino in fondo, questa battaglia di democrazia.
Sarebbe un peccato se la Rete, ottenuto un modesto salvacondotto per la blogosfera, tirasse un sospiro di sollievo e abbassasse i toni della protesta, ritirando il suo appoggio presente e futuro al sistema dell’informazione.
L’obiettivo è uno soltanto: scongiurare il rischio di ogni bavaglio, ovunque e comunque.