Le rivelazioni fatte dal settimanale Panorama. Respingono le accuse i vertici del Pd locale: "E' la macchina del fango avviata dai mezzi d'informazione di proprietà del presidente del consiglio"
In sostanza la Cim (cooperativa immobiliare modenese) di Salami acquistò quote della Sim (società immobiliare modenese) per 2,1 milioni di euro; l’anno precedente Fingest e Aesse, società dell’ex sindaco di Sassuolo e dell’avvocato Francesco Agnello, avevano ricevuto in varie tranche 2,4 milioni di euro di consulenze qualificate dall’imprenditore sestese Giuseppe Pasini come tangenti – secondo quello che sostiene l’accusa – imposte dall’ex presidente della Provincia di Milano Filippo Penati per gli appalti dell’affare Falck.
L’allusione sul travaso di denaro tramite l’aumento delle quote, definito dal settimanale di Mondadori un affare ‘fallimentare’ per la successiva svalutazione, viene respinta con sdegno dai vertici del Pd locale. Mentre il segretario provinciale Davide Baruffi parla di “macchina del fango orchestrata dai potenti mezzi di informazione di cui dispone il capo del governo”, il deputato Ivano Miglioli, suo predecessore all’epoca dei fatti, afferma: “Non c’è alcun legame tra la vicenda di Monza, che è tutta da dimostrare, e le società modenesi proprietarie di diversi immobili del Pci e poi Pds che sono costati sacrifici a militanti e dirigenti. Metteremo a disposizione come sempre in modo trasparente le operazioni, che riguardavano pagamenti di debiti, vendite di immobili, accensione di mutui. Ma la Cim, che non è di Salami in quanto le decisioni venivano prese collegialmente, non c’entra nulla con le società Fingest e Aesse”.
Al momento le operazioni tra le società vicine ai Ds non trovano riscontro giudiziario, ossia non sono state acquisite agli atti dalla Procura di Monza che sta indagando in altre direzioni. Di certo all’ombra della Ghirlandina si celava il quartier generale dei personaggi che Pasini indica come ricettori di parte delle mazzette imposte da Penati (concordate, secondo il Gip che negandone l’arresto ha qualificato i fatti come corruttivi) “il buon esito dell’affare Falck e garantire la parte romana del partito”.
A Modena è nato 63 anni fa ed è presente in varie società Omer Degli Esposti, vicepresidente del Consorzio cooperative di costruzioni di Bologna (primo gruppo italiano con 1 miliardo e 300 milioni di euro di appalti, 240 coop e 20mila dipendenti) che – sempre secondo l’accusa – avrebbe suggerito di pagare le ‘consulenze’ a Fingest e Aesse di Salami e Agnello. L’ex sindaco sassolese e l’avvocato palermitano hanno gestito partite di un certo peso nel mondo cooperativo in tutta Italia da un piccolo ufficio di via del Taglio, nel centro storico modenese, dove hanno sede svariate società a responsabilità limitata: oltre alle sopracitate troviamo Servizi Globali Generali (Sgg), Phaedora, Sviluppo Palermo, Sviluppo Catania, Sviluppo Messina, Sviluppo Trapani, partecipate o con dirigenti della cooperazione, nate per supportare la realizzazione di opere edili e in particolare centri commerciali.
Alcuni affari vanno in porto, altri sfumano dopo il versamento della caparra, ma sempre lontano dai riflettori. Unica eccezione per Phaedora, accusata da Marco Taradash (Pdl) di non avere i requisiti (l’esperienza triennale) per partecipare al bando vinto due anni fa per la gestione della Fortezza Vecchia di Livorno, parte del piano di riqualificazione del porto cui sta lavorando Porta Medicea, società partecipata da Cmb (consorziata Ccc) e al 60% da Igd spa (Coop Adriatica e Unicoop Tirreno).
Salami, segretario del Pci di Sassuolo, assessore e sindaco della capitale del distretto ceramico, dal 1990 non ricopre ruoli politici. Nel 1996 crea la Fingest, dal 2000 al 2003 è presidente della Cooperativa immobiliare modenese, società che detiene patrimoni del Pd (ex Pci-Pds-Ds) e partecipa alla controllata del partito, la Sim. Il fattoquotidiano.it è entrato in possesso di un nuovo documento che attesta il rapporto senza soluzione di continuità tra Sim e Cim, quello riguardante l’area dell’ ex fornace di Ponte Alto dove dagli anni Novanta si svolge la festa dell’Unità. La Sim, proprietaria dei terreni, li vende nel 2001 per 9 milioni e mezzo di euro a un gruppo di imprese sassolesi, la ‘Masterall Immobiliare’, con la garanzia dell’integrità dell’area e con la clausola di affittare alla Cim presieduta da Salami: ”Le parti – recita l’accordo – convengono e dichiarano che contestualmente alla sottoscrizione del presente contratto e per conforme volontà ed interesse della società venditrice, la società acquirente stipulerà con la società Cooperativa immobiliare modenese un contratto di locazione con la durata minima legale per l’utilizzo dell’intero complesso immobiliare”.
Ma nella vicenda di Ponte Alto emerge anche un altro aspetto. Nonostante una perizia del geologo Franco Gemelli che nel 2005 accerta un inquinamento “da metalli pesanti, solventi e valori anomali” la Masterall non utilizza la clausola. Perché una cordata bipartisan, la Ponte Alto spa, nel 2007 acquista l’area per 11 milioni di euro. La consigliera dell’Idv Eugenia Rossi oggi critica l’iter di queste compravendite, la variante sulle zone F (cioè la destinazione ad attrezzature generali che consente le feste dell’Unità) e quella “che ne prevede la parziale conversione a zone residenziali per un totale di circa duemila abitazioni”.
La giunta modenese replica ricordando le analisi di Arpa in corso e tutti i passaggi istituzionali necessari prima di un eventuale permesso di costruire, al momento non concesso. Ma ciò che si evince, anche in questo caso senza rilievo penale, è una sorta di consociativismo imprenditoriale. Dagli edili di Lapam e Api vicini alla destra (Granulati Donnini è socio di Modena capitale, holding del finanziere Gianpiero Samorì, già vicepresidente dei Circoli del Buongoverno di Marcello Dell’Utri) alle banche Popolare e Mps passando per Conad e coop rosse, tra cui le consorziate di Ccc, Cmb e Cdc (da sola il 25% delle azioni). All’appello, del ‘non-affare’ di un terreno da bonificare, non manca nessuno.