Alla fine Silvio Berlusconi non c’era. Alla prima assemblea degli eletti del Pdl in Lombardia, il premier non ha dedicato nemmeno una delle sue celebri telefonate. “Vuole che impariamo a camminare con le nostre gambe”, lo giustifica il senatore Mario Mantovani, coordinatore del partito in regione e organizzatore dell’evento. “E’ vero, il Pdl è stato un partito fondato sul carisma”, ammette il governatore Roberto Formigoni, “ma d’ora in poi sarà fondato sul contributo di tutti”. Prove generali di post-berlusconismo, dunque. All’insegna di parole chiave come “meritocrazia” e “democrazia interna”. Ma c’è chi mette in guardia gli astanti: “Se abbiamo vinto è perché abbiamo avuto un leader che si chiama Silvio Berlusconi”, ricorda Daniela Santanchè. E precisa: “Non si cambia il figlio al padre. Il partito resterà sempre il partito di Berlusconi”. Così, nonostante la preoccupazione per gli attacchi di cattolici e imprenditori, parlare di successione nella leadership rimane un tabu, e nessuna osa parlare di passo indietro del Cavaliere. Anzi, nel suo discorso conclusivo il segretario nazionale Angelino Alfano mette le cose in chiaro: “Prima di tutto, se c’è un attacco contro il nostro leader, noi lo difendiamo. Sarà poi lui a decidere se candidarsi o meno in futuro”. di Franz Baraggino

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