La media delle convocazioni è di una ogni due settimane. Molte cominciano alle 9 di sera, comportando il pagamento degli straordinari ai consiglieri
Se provi a scendere nella buvette, la luce (fioca) si accende in automatico appena varcata la soglia. Da dietro i divanetti in pelle blu spunta un uomo: “Dicaaa?”. Sembra Lurch, il maggiordomo della famiglia Addams. L’atmosfera è cavernosa eppure intorno è tutto nuovo. Legni lucidati, grandi vetrate, pareti chiare. Quelle della palazzina dedicata alla presidenza del Consiglio (e ai suoi 4 vice) sono ridipinte di fresco, colore verde acqua. Così come è ancora candido il tetto della tensostruttura che in regione hanno ribattezzato PalaCiocchetti, dal nome dell’assessore Udc Luciano. Nonostante gli enormi spazi, per i centristi non c’era posto: così hanno costruito un padiglione a sè.
In una delle poche stanze abitate, quelle di Sinistra Ecologia Libertà, due scatoloni giacciono in un angolo. Sono pieni di fogli che sono serviti un giorno soltanto. Un funzionario li ricicla per gli appunti: non può pensare che sono costati 4670 euro e 47 alberi. Si tratta degli emendamenti al “Piano casa”. Il 27 luglio sono stati distribuiti ai 70 consiglieri: non serviva stamparli, erano on line. Eppure li hanno presi tutti e 4389 e fotocopiati in 495 mila copie, al costo di 1 centesimo per carta, toner ed elettricità.
Almeno quel giorno di luglio si è discusso. Nell’aula del consiglio regionale è quasi un miracolo. La Regione ha cinque grandi competenze: Sanità, Ambiente, Urbanistica, Mobilità e Lavori pubblici. Sulla prima, spiega Rocco Berardo, new entry Radicale, “poiché siamo commissariati, finisce che la commissione Sanità impegna il suo tempo nel fare audizioni”. Leggi? “Ne ha proposta una, ma è stata bocciata”. Non va meglio nelle altre due, se è vero che l’unica legge di un qualche peso approvata dagli eletti del Lazio, è stato il famigerato “piano casa”. Per passare dall’approvazione in giunta a quella in consiglio ci ha messo la bellezza di 9 mesi: un parto. Nell’ultimo biennio hanno avuto il via libera della Pisana la miseria di 22 leggi, 7 nel 2010 e 15 nel 2011. Tra queste, 8 erano relative al bilancio, e quindi obbligatorie, 18 provenivano dalla giunta. In due anni, quindi, il consiglio regionale laziale ha prodotto, di suo, solo 4 leggi, per lo più piccole modifiche a normative esistenti. Se, come dice il bilancio preventivo 2011, il Consiglio regionale costa 103 milioni di euro l’anno, significa che ogni legge ne vale 6,8 milioni.
Nei sedici mesi dall’elezione di Renata Polverini si contano 33 sedute, una ogni due settimane, che comprendono 59 “adunanze” (per le questioni più complesse la seduta richiede più “adunanze”). Molte cominciano alle 9 di sera, come quella di agosto sull’assestamento di bilancio. Bisogna risparmiare,masiconvocailconsiglioin notturna, pagando gli straordinari ai dipendenti. E negli stessi sedici mesi, delle 191 interrogazioni a risposta immediata presentate, si sono ottenute solo 21 risposte. Delle 585 “a risposta scritta” ne sono state evase appena un quinto. A maggio, il consigliere di SeL Luigi Nieri ha inaugurato gli “esercizi di metafisica”: ha presentato “una interrogazione sulla mancata risposta all’interrogazione con la quale si chiedevano spiegazioni sulla completa assenza di risposte a tutte le interrogazioni”.
Il rapporto tra giunta e consiglio non funziona anche per un motivo banale: solo uno degli assessori nominati dalla Polverini è anche consigliere. Colpa del “ripescaggio” necessario dopo l’esclusione della lista Pdl alle elezioni 2010, che adesso fa aumentare anche i costi della politica. Lo stesso succede con le 20 commissioni (ce n’è una sul Federalismo fiscale, una sui Giochi olimpici 2020): tra presidenti e due vice-presidenti di commissione, praticamente tutti i consiglieri hanno una carica. Quella di presidente fa sì che si abbia diritto all’auto blu (solo uno, Filiberto Zaratti ha rinunciato) e a uno staff di tre persone (prese anche dall’esterno), oltre che a un’aggiunta di 891,5 euro sullo “stipendio” di 12.555.223 euro lordi per i presidenti e di 594 per i loro vice.
Per ogni giorno di assenza dalle sedute di commissione o di consiglio, si perdono 222,39 euro. Ma qui scatta l’ingegno italico: basta firmare. Poi ci si può allontanare a fare i fatti propri. “Alcuni consiglieri – ricorda un impiegato di vecchia data – in Consiglio non ci hanno mai messo piede. Basta firmare il foglio presenza a inizio seduta. Tanto che una volta ci fu una mezza rivolta perchè il Presidente di turno aveva chiuso la seduta per mancanza di numero legale prima che tutti potessero apporre la propria firma”.
di Eduardo Di Blasi e Paola Zanca
da Il Fatto Quotidiano del 1 ottobre 2011