Due anni di indagini svolte dai carabinieri: una dottoressa della clinica Latteri viene intercettata mentre parla a una collega e la esorta a non somministrare ai pazienti il Tad, un famaco disintossicante dato ai malati di tumore dopo la chemioterapia
“Perché spendere? I parenti sperano che muoia, e io non gli faccio altri 10 giorni di albumina, sono soldi buttati”. È la dottoressa Latteri dell’omonima clinica di Palermo che parla al telefono a una collega spiegando che non bisogna più somministrare ai pazienti il Tad, un farmaco disintossicante dato ai malati di tumore dopo la chemioterapia, rimborsato dalla Regione 100 euro a seduta. L’ordine, però, non riguardava tutti i pazienti, ma solo quelli entrati nella clinica con un “day service”, mentre per quelli ricoverati, essendo maggiore il rimborso, si poteva procedere. Una truffa da un milione e 200 mila euro che ha portato anche a un aberrante sistema che prevedeva pazienti di serie A e pazienti di serie B, questi ultimi costretti a soffrire la totalità degli effetti collaterali dovuti alle sedute di chemioterapia.
È quanto è emerso dall’inchiesta condotta per oltre due anni dal Nucleo antisofisticazione dei carabinieri e coordinata dal pm Amelia Luise. Imminente la richiesta di rinvio a giudizio per 17 persone tra medici e dirigenti di tre cliniche palermitane, Latteri, Maddalena e Noto. Oltre alla mancata somministrazione del Tad, le tre strutture private chiedevano il rimborso per i ricoveri, che avrebbero dovuto includere gli esami specialistici, e poi un ulteriore rimborso per gli accertamenti diagnostici effettuati in strutture collegate o esterne alle case di cura. Tra gli indagati anche due medici che ufficialmente lavorano in ospedali pubblici ma che, in cambio di denaro, dirottavano pazienti alla Latteri e alla Noto, sostenendo che nei nosocomi non ci fosse posto.
Secondo gli inquirenti, al diktat impartito ai sanitari dalla dottoressa Maria Teresa Latteri, che gestisce la clinica, in un primo tempo aveva provato a ribellarsi la collega Maria Rosaria Valerio, inutilmente. In una intercettazione infatti la Valerio dice: “Il paziente vomita, si disidrata, bisogna fargli il Tad”. Ma la Latteri rimane inflessibile: “Allora non hai capito che la prassi che fai tu costa alla clinica 250 euro e quello (l’assessore alla Sanità, ndr) ce ne dà 100?”.
Nel settembre 2009, due mesi dopo il decreto con cui l’assessorato regionale alla Sanità tagliava i rimborsi alle cliniche e imponeva sedute di chemioterapia quasi esclusivamente senza ricoveri, la conferma di questo modus operandi arriva ai carabinieri da una telefonata tra un paziente, allarmato dall’effetto della chemio, e la dottoressa Valerio: “Sono rosso in viso, come se avessi delle vampate. Anche negli occhi… E perché questa volta la Tad non l’avete fatta?”. Non mancano i turbamenti tra il personale. Come il medico Scaletta, che alla Valerio per telefono disse: “Così non si può vivere, anche per una questione di coscienza nei riguardi delle persone”.
“Se confermati – ha commentato ieri l’assessore regionale alla Salute, Massimo Russo – si tratta di fatti di una gravità inaudita. E adesso vedremo se ci sono le condizioni per adottare fin da subito i consequenziali provvedimenti, compresa la revoca del convenzionamento”. Ma mentre Leoluca Orlando, presidente della Commissione d’inchiesta della Camera sugli errori in campo sanitario, ha dichiarato che chiederà una relazione all’assessore siciliano, il segretario regionale della Cgil medici, Renato Costa, attacca: “La verità è che le strutture private sono fuori controllo. La riforma sanitaria adotta sistemi rigidi e tagli sulla sanità pubblica, ma non altrettanto sul fronte privato. E poi, chi controlla la qualità del servizio di queste strutture?”.
Lo scandalo delle cliniche aumenta la tensione sull’assessorato alla Sanità siciliano, già nella bufera dopo il decreto che taglia nell’isola 23 punti nascita al di sotto dei 500 parti annui: in questi giorni gli amministratori locali e i cittadini delle Madonie e delle isole minori protestano contro l’assessore Russo. Da tre giorni l’ospedale di Petralia Sottana è occupato da un gruppo di nove sindaci, mentre è previsto per oggi un sit-in di protesta davanti l’ospedale San Raffaele Giglio di Cefalù contro la chiusura del reparto di ostetricia.
da Il Fatto Quotidiano del 2 ottobre 2011