"Nessun aiuto pubblico". Lo disse l'ad Fiat solo nel 2009. Frase del tutto falsa, almeno leggendo il libro di Marco Cobianchi "Mani bucate". In quello stesso anno il Cipe assegnò 300 milioni al ministero per sostenere anche gli stabilimenti del Lingotto
Il 26 giugno 2009 il Cipe (Comitato interministeriale programmazione economica) ha assegnato 300 milioni di euro al ministero dello Sviluppo economico per sostenere anche gli stabilimenti Fiat di Pomigliano d’Arco e di Termini Imerese. Dello stabilimento siciliano è già decisa la chiusura per il prossimo 31 dicembre. E comunque tutto quel denaro pubblico, ricorda Cobianchi, non è bastato neppure nell’immediato “a evitare il rinnovo della cassa integrazione a Pomigliano per un anno, accordato nel dicembre del 2009”.
Non è finita. Il 19 gennaio 2010 l’Italia ha chiesto all’Unione Europea l’autorizzazione per un finanziamento pubblico di 15,8 milioni (pagabile in tre rate tra il 2010 e il 2013) alla Fiat Powertrain di Verrone, in provincia di Biella, per un investimento iniziato nel 2008 riguardante la costruzione di un nuovo tipo di cambio. “Per avere quei soldi – ricostruisce Cobianchi – la Fiat si impegna ad assumere seicento persone, portando il totale dei dipendenti a quota 1083, ma nella primavera del 2011 le assunzioni effettuate sono state soltanto cento. E quelle cento persone sarebbero state semplicemente trasferite da un altro stabilimento del gruppo Fiat, quello di Mirafiori.
Già prima, nell’aprile 2009, poche ore prima che il presidente americano Barack Obama desse il via libera all’operazione Fiat-Chrysler, l’Unione Europea ha approvato un’altra iniezione di denaro pubblico in favore del gruppo torinese: 37,3 milioni di euro per sostenere gli investimenti destinati alle linee di produzione della Nuova Lancia Ypsilon dello stabilimento siciliano di Termini Imerese dove, secondo i sindacati, dal settembre del 2008 i dipendenti lavorano in media due settimane al mese, mentre le altre due le passano in cassa integrazione. Ancora Termini Imerese, dunque, finanziata pesantemente poco prima che Marchionne ne annunciasse la chiusura.
Con un particolare singolare: secondo gli accordi presi in sede europea, la Fiat avrebbe dovuto assumersi l’impegno di mantenere l’investimento in Sicilia per almeno cinque anni dal momento iniziale dell’operazione, nel 2008. Se dunque Termini Imerese chiudesse prima del 2013, come sta di fatto accadendo, la Fiat dovrebbe restituire i 37 milioni e spiccioli.
La cosa veramente incredibile è che, mentre la Fiat chiude lo stabilimento di Termini Imerese dopo aver incassato ingenti aiuti pubblici nel corso degli anni, lo Stato si prepara a spendere altri 350 milioni di euro per i progetti di reindustrializzazione dell’area industriale siciliana che sta per restare orfana di Marchionne. Ciò che dà sostanza all’idea dello Stato-Bancomat descritta dal libro “Mani bucate” con decine e decine di esempi, di cui il caso Fiat è solo il più eclatante.
La svolta rappresentata dall’ascesa al vertice di Marchionne nel 2004 riguarda tutti gli aspetti della vita aziendale fuorchè l’abitudine di succhiare denaro a Pantalone. Secondo Cobianchi “l’azienda torinese ha chiesto e ottenuto soldi pubblici allo stesso identico ritmo andante con brio degli anni precedenti”. Trattandosi di un gruppo che si articola in centinaia di società controllate e prende soldi da una miriade di amministrazioni pubbliche, comprese quelle locali, nessuno è in grado di ricostruire quanti finanziamenti abbia effettivamente incassato nel corso degli anni. Ma il fenomeno è rappresentato nella sua dimensione complessiva dal libro di Cobianchi: 840 mila aziende finanziate dallo Stato, 1.307 leggi di incentivazione approvate, una sola legge, la famosa 488, che dal 2003 al 2008 è costata 6 miliardi di euro.
La lista degli incentivi – sconti fiscali e finanziamenti diretti – compilata in “Mani bucate” lascia esterrefatti: dai giornali (non solo di partito) ai cinepanettoni, dal turismo ai voli aerei, dall’energia più o meno verde all’high tech. Per non parlare del capitolo più problematico, quello degli investimenti al Sud, che secondo gli studi più accreditati ha prodotto effetti pressoché nulli sulla crescita economica. I finanziamenti alle industrie infatti non solo sono costosi ma servono a poco, e quasi sempre si scopre che sono stati incentivati investimenti che sarebbero stati fatti lo stesso. Come ha detto il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi, “i sussidi alle imprese sono inefficaci e creano distorsioni che penalizzano gli imprenditori più capaci”.
da Il Fatto Quotidiano del 2 ottobre 2011