Sono rimasto piuttosto colpito da questo video del Nuovo Partito d’Azione che denuncia la situazione italiana sulla mancanza di un reddito minimo di cittadinanza, a fronte della situazione del resto della Unione Europea. Nel video si sostiene che Italia e Grecia siano gli unici due Paesi UE dove non esista alcuna forma di reddito minimo di cittadinanza. Insospettito da una tale situazione, ho fatto una piccola verifica, andando sul sito apposito dell’Unione Europea, dove ho scoperto che su diverse leggi è possibile ottenere una tavola sinottica comparativa della situazione legislativa delle varie nazioni dell’Unione (il momento in cui questa fotografia giuridica comparativa è stata scattata, è il 1° gennaio 2011, quindi se sono intercorsi dei cambiamenti da dieci mesi fa, il sito per ora non li contempla).
Nel mio caso, ho scelto di paragonare all’Italia solo nazioni di grandezza economica non estremamente distante (Germania, Francia, Spagna, Regno Unito), più la Grecia e il Portogallo, per evitare il paragone con nazioni molto piccole e molto ricche, come il Lussemburgo o l’Olanda, dove chiaramente la situazione su questi temi è mille volte migliore rispetto a quella italiana. Penso però che il paragone più equo sia quello con realtà tipo Francia, Regno Unito, Spagna, per cercare di essere ragionevoli e non populisti.
Rispetto a quanto denuncia il video, la situazione italiana è lievemento meno drammatica, dal momento che con con il decreto legge 112 del 31 marzo 1998 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della Legge 15 Marzo 1997, n. 59) il Parlamento di Roma ha trasferito alle Regioni e ai Comuni le competenze di riconoscere un Reddito minimo di cittadinanza. Con il risultato che quasi ovunque i cittadini italiani non hanno comunque nulla, come dice il video del NPd’Az, per negligenza però non già del Parlamento ma delle Regioni o dei Comuni (che naturalmente non possono, di solito, istituire un Reddito minimo di residenza nel momento in cui il Parlamento di Roma taglia loro i trasferimenti su tutti i fronti). Ci sono però realtà, come in Toscana, dove invece la Regione qualcosa ha fatto.
Però nulla di paragonabile alla situazione tedesca, dove tra i 16 e i 65 anni si può disporre dell’Arbeitslosengeld II per i disoccupati e redditi minimi: 345 Euro al mese, a cui vanno aggiunti (scusate!) il rimborso dei costi d’affitto e riscaldamento (Miete und Heizkosten) più una serie di aiuti economici per ogni figlio a carico. E nemmeno niente di paragonabile alla situazione inglese, dove a partire dai 18 anni chi non ha un lavoro e non ha risparmi per più di 12.775 Euro ha diritto all’Income-based Jobseeker’s Allowance, cioè a circa 350 Euro al mese per un periodo di tempo illimitato, rimborso affitto alloggio (Housing Benefit) e una serie di assegni familiari. Oppure alla situazione francese, dove a partire dai 25 anni si può aver diritto alla Revenu Minimum d’Insertion (RMI), che fornisce a un disoccupato single circa 425 Euro al mese, a un disoccupato in coppia di fatto circa 638 Euro al mese a testa, e a un disoccupato in coppia con figlio a carico circa 765 Euro al mese e così via, progressivamente a seconda del numero di figli a carico. Purtroppo per gli italiani, nemmeno la Spagna è paragonabile, ormai, dove la riforma Zapatero ha innalzato il salario minimo per legge a 600 Euro al mese per 14 mensilità e dove nessun lavoratore iberico può lavorare per meno di questa cifra. Sappiamo qual è la realtà italiana, con addetti di call center pagati 100 o 300 euro al mese, e giornalisti professionisti che quasi mai si vedono retribuiti secondo quanto stabilito dai parametri stabiliti dell’Ordine apposito.
Chiunque voglia vincere le elezioni prossime venture, dovrebbe a mio parere includere nei suoi primi 3 punti l’introduzione di questo Reddito minimo di cittadinanza, presente in tutta la UE a livello spesso nazionale e non locale, possibilmente ricavando i fondi dal ritiro delle missioni di guerra, dall’introduzione di una piccolissima ma vera patrimoniale progressiva per redditi (piccolissima significa che il contributo dovrebbe essere davvero ridotto come entità, ma dovrebbe in cambio toccare un’amplissima porzione della società, diciamo a partire da 55.000 euro in su), e dalla vendita di patrimonio dello Stato non vincolato (caserme, uffici). Questo permetterebbe di abbassare sia l’Iva che la pressione fiscale generale, e quindi rilanciare un’economia che mai è sembrata tanto comatosa come oggi.