La loro sorte ha fatto mobilitare perfino il cardinale Angelo Bagnasco, capo della Chiesa italiana, che nel suo ultimo discorso di una settimana fa – tra un attacco e l’altro al premier e agli stili di vita dei politici – ha riservato un passaggio anche al futuro delle televisioni locali, messe in pericolo dall’asta (chiusa venerdì) indetta dal governo che ha venduto molte delle frequenze delle piccole emittenti alla telefonia. Infatti, un centinaio tra le 500 tv locali italiane sono di matrice cattolica. Da qui l’appello del porporato: “Continuiamo a prestare l’attenzione necessaria al comparto comunicativo e televisivo, affinché le innovazioni avvengano nel rispetto del pluralismo e della vocazione culturale del nostro popolo, a partire dalle esigenze dei singoli territori”. Parole senza dubbio sante, ma di fronte ai soldi la politica potrebbe non sentire ragioni e condannare a morte centinaia di voci del territorio.
Il punto è che il governo qualche mese fa ha deciso di rimpinguare le sofferenti casse statali espropriando frequenze alle tv locali, per rivenderle alle compagnie telefoniche attraverso un’asta che ha fruttato allo Stato quasi 4 miliardi di euro: Wind, Vodafone, Telecom Italia e H3g, i nomi dei compratori. Roba da leccarsi i baffi per il ministro Paolo Romani, che a inizio asta prevedeva un introito di 2 miliardi e mezzo.
L’idea di vendere alcune frequenze alle compagnie telefoniche arriva in realtà dall’Unione Europea, che aveva previsto questa soluzione per il 2015. Ma l’esecutivo, visti i tempi di magra, ha pensato di affrettare un po’ i tempi e con il decreto legge 34 del 31 marzo 2011 e poi con la legge 75/2011, ha stabilito che nelle aree ancora da digitalizzare (Liguria, Toscana, Umbria, Marche, Provincia di Viterbo, Molise, Abruzzo, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia) il ministero non procederà all’assegnazione alle tv dei diritti d’uso dei canali dal 61 al 69. Nelle aree già digitalizzate invece (Sardegna, Piemonte, Valle d’Aosta, Lombardia, Trentino Alto Adige, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Lazio e Campania) il ministero revocherà agli operatori di rete locali i diritti d’uso che saranno resi disponibili per le compagnie che le hanno appena comprate.
Le piccole emittenti, naturalmente, si mobilitano e cercano di evitare una sorte che sembra segnata.“Sono minacciate una media di 18 emittenti per regione, quindi in totale 280 televisioni rimarranno senza frequenza,” spiega Maurizio Giunco, presidente dell’Associazione Tv Locali Frt. “Ci sono norme che stabiliscono quali e quante debbano essere frequenze nazionali e locali, e questa espropriazione minaccia la sopravvivenza di una fitta rete di emittenti nel territorio” spiega Giunco. “Essendo una legge dello Stato, c’è però ben poco che possiamo fare per contrastarla”.
Inoltre, le emittenti espropriate riceveranno un indennizzo sottodimensionato rispetto al danno che subiranno, circa il 10 % dei proventi dell’asta di vendita delle frequenze alle compagnie telefoniche, ma con un tetto massimo di 240 milioni di euro, insufficiente persino a ripagare gli ultimi investimenti fatti per il passaggio al digitale terrestre.
Le tv nazionali invece non dovranno affrontare nessun sacrificio. Anzi. “La giusta divisione”, aggiunge Giunco “sarebbe stata prendere un terzo delle frequenze dai locali e due terzi dai nazionali. In alcune regioni si deve ancora digitalizzare, col risultato che ci sono più tv rispetto alle risorse rimaste dopo l’emanazione della legge 75/2011. Inoltre le frequenze non sono tutte uguali, alcune non sono utilizzabili, sono disturbate dalla vicinanza con le frequenze degli stati confinanti” spiega il rappresentante delle piccole emittenti.
In Toscana, per esempio, la situazione è critica. Non solo delle 27 frequenze originarie ne sono rimaste 18, ma appena 4 di queste sono buone e utilizzabili per una trasmissione a livello regionale. Inoltre le tv che trasmettono in tutta la regione, possedendo le frequenze migliori, saranno le prime a essere espropriate e a rischiare di più in questo processo. Nelle Marche sui 16 canali rimasti a disposizione solo 2 sono sfruttabili a livello regionale, ma uno di questi è stato dato alla Rai.
Già la Rai. La televisione pubblica recentemente è stata imbottita di frequenze inutili: nel Lazio per esempio ne ha ben 9 mentre a oggi ne servirebbe solo una per tutta la regione. Ora, se si considera che Rai3 ha bisogno di splittare su una rete diversa (di dividersi cioè tra regionale e nazionale), allora possiamo dedurre che la Rai ha bisogno di due frequenze, non di nove. “Con nove frequenze”, spiega il presidente dell’Associazione Tv Locali, “dovrebbe produrre 60 programmi per riempirle tutte”.
Ma anche per l’Emilia Romagna la situazione si prospetta sempre più difficile. Sebbene il quadro sia ancora in corso di definizione, perché – come denuncia la consigliera Liana Barbati, capogruppo dell’Italia dei Valori in Regione – “nessuno ne parla”, i primi dati sono preoccupanti. Reggio Emilia, per esempio, rischia di perdere E’Tv e Tele Reggio, punti cardine della televisione locale della nostra regione. E anche un canale amato a Bologna come 7Gold, è minacciato dagli ultimi provvedimenti del governo.
Ma la beffa più grande per le piccole emittenti è la storia del cosiddetto beauty contest. Infatti la necessità di racimolare soldi da infilare nelle tasche vuote dello Stato non sembra così impellente per quanto concerne il panorama televisivo nazionale. Il beauty contest – cioè il procedimento per ridistribuire praticamente gratis sei frequenze che di fatto rischiano di andare andranno alle tv nazionali, in primis Rai e Mediaset – fa un regalo alle grandi emittenti, mentre lo Stato incassa 4 miliardi per le frequenze delle piccole emittenti.
Una assurdità tale che forse, proprio in queste ore, il governo potrebbe ripensarci rinviando l’asta del beauty contest. Venerdì perfino la Rai, che dopo Mediaset potrebbe essere la più beneficiata dal concorso-regalo, ha presentato un ricorso al Tar. Così il “concorso di bellezza” non dovrebbe tenersi fino alla fine dell’anno.
Ma in questo marasma di concorsi e ricorsi a piangere rimangono le emittenti locali che ora potrebbero vedersi perfino sequestrare le frequenze con la forza. C’è chi prova a metterci una pezza. La Regione Emilia Romagna ha istituito un bando attraverso il quale stanzierà 1,8 milioni di euro alle tv locali per il passaggio al digitale. Bruscolini. Soldi che potranno fare poco per risarcire i cittadini che si vedranno defraudati di alcuni dei loro canali, di alcuni dei loro programmi che raccontano cosa succede nella loro città o nella loro provincia.
Dallo Stato è giunta una sola risposta: basta che i cittadini ri-direzionino le antenne e il problema sarà risolto. Certo, si potrebbe fare, ma poi perderebbero tutti i canali nazionali. Dunque, che soluzione è?
di Annalisa Dall’Oca e David Marceddu