Aumenta del 34% il numero dei lavoratori del comparto statale che va in pensione appena matura i requisiti di anzianità. Una tendenza inversa rispetto al passato, che si spiega con il timore di nuovi interventi di legge peggiorativi
Dalla pubblica amministrazione è in corso una vera e propria fuga. Secondo gli ultimi dati resi noti dall’Inpdap, infatti, nel settore pubblico nei primi nove mesi di quest’anno c’è stato, rispetto allo stesso periodo del 2010, un aumento del 5,27% dei pensionamenti: nello stesso periodo del 2010 i dipendenti pubblici che smisero di lavorare furono 71.953, mentre quest’anno sono stati 75.743. ma non è questo l’unico dato rilevante: all’interno di questa percentuale sono diminuite le pensioni di vecchiaia, quelle di inabilità e anche il cosiddetto part time (cioè il lavoro a tempo parziale prestato da ex dipendenti già andati in pensione di anzianità).
Quello che è aumentato a dismisura, quindi, è il numero di persone che ha deciso di smettere di lavorare una volta maturati i requisiti dell’anzianità, cioè il numero di anni di lavoro sufficiente: lo scorso anno erano state 39.477, quest’anno sono salite a quota 52.973, in controtendenza con l’abitudine che – spiegano dall’Inpdap – era tipica finora dei dipendenti pubblici, di continuare a lavorare anche dopo il raggiungimento dei requisiti minimi, fino a quando non si raggiungeva il requisito della vecchiaia. L’aumento del 34% in un anno ha diverse spiegazioni.
Da un lato la norma del 2009 che prevede che lo Stato faccia uscire i suoi dipendenti una volta che questi hanno versato 40 anni di contributi, togliendo al dipendente la possibilità di scegliere. Ma, accanto a questo meccanismo, ci sono le più recenti misure che riguardano il pubblico impiego che, di fatto, stanno dando vita ad un vero e proprio fuggi fuggi dagli uffici di enti statali, parastatali e locali: il blocco dei contratti e la rateizzazione del Tfr, prima di tutto. E incide molto anche il fattore paura: molti dipendenti pubblici hanno scelto di andare in pensione temendo l’arrivo di nuovi interventi che potrebbero peggiorare ulteriormente le condizioni di lavoro del comparto. Già adesso l’età pensionabile per le donne nel settore pubblico è stata innalzata a 61 anni, con l’obiettivo finale di arrivare a 65 anni, adeguandole così al settore privato. A quest misura, però, va aggiunta la finestra mobile, che di fatto obbliga i lavoratori a prestare servizio per altri dodici mesi dopo il raggiungimento dei requisiti per andare in pensione. Come dire: meglio una pensione, seppure non ricchissima, oggi, che l’incertezza di domani.