Giustizia & Impunità

La casta degli avvocati di Stato

Tra le tante caste italiane ve n’è una poco conosciuta ma che gode di grandissimi privilegi: l’Avvocatura di Stato.

Non molti sanno cosa sia. I lettori de ilfattoquotidiano ne hanno recentemente sentito parlare in occasione della causa intentata per conto del ministro Brambilla dopo che Il Fatto aveva commentato alcune frasi legate a una nota inchiesta penale.

L’Avvocatura di Stato è l’ente che, per legge, difende (prevalentemente, ma non solo)  lo Stato e le sue varie articolazioni e che vanta, in tutta Italia, poco più di 400 dipendenti-avvocati, decisamente fortunati: nessuna spesa per gestire l’ufficio (che è a carico del contribuente), nessun rischio “di impresa”, una clientela garantita per legge, qualche auto blu e, soprattutto, tanti tanti soldi a fine mese.

Si, perché gli avvocati e i procuratori di Stato oltre allo stipendio (non altissimo, essendo uguale a quello dei magistrati) sommano le cosiddette “propine”, cioè le spese legali delle cause che patrocinano, in grado di moltiplicare lo stipendio. Ed è un reddito garantito. Comunque vadano, nel complesso, le controversie che gestiscono, non perderanno mai un cliente: è assicurato per legge. Come dire, se perdo 90 volte su 100 perché non studio nemmeno gli atti causa, tu sei costretto comunque a rimanere mio cliente. Un privilegio più unico che raro rispetto al mercato del libero foro.

Capita quindi di vedere, e non di rado, che l’Avvocatura di Stato si costituisca nei giudizi con una memoria di mero rito (in cui cioè dice “mi costituisco in giudizio”. Punto e basta) e, una volta in udienza, affermare “chiediamo la compensazione delle spese di lite, rimettendoci a giustizia”. O, in alternativa, non presentarsi nemmeno. Infatti, anche in caso di compensazione delle spese di lite, all’Avvocatura di Stato spettano gli onorari per la causa, che sono destinati in parte ad un fondo comune il quale, ogni trimestre, viene diviso tra tutti i “prìncipi” di questo foro privilegiato. Per arginare questo fenomeno in alcuni Tribunali Amministrativi è stata inventata addirittura una formula ad hoc: “spese denegate in ragione della mancanza di una effettiva attività difensionale.

Il tempo per svolgere pagatissimi incarichi extragiudiziari, invece, gli avvocati dello Stato lo trovano spesso: arbitrati, docenze e addirittura incarichi “fuori ruolo”, cioè senza svolgere le funzioni per cui sono stati assunti.

Infine, non va dimenticato che – è cronaca recente – in eclatanti processi contro l’attuale presidente del Consiglio dei Ministri, l’Avvocatura dello Stato non si è nemmeno presentata in giudizio, come avrebbe potuto, per costituirsi parte civile e far valere le ragioni dello Stato (cioè di tutti noi), chiedendo il risarcimento dei danni, in caso di condanna penale.  E… da chi dipende l’Avvocatura di Stato ? Dalla presidenza del Consiglio dei Ministri, naturalmente.

Altri dati è davvero difficile conoscere: quante cause perde l’Avvocatura di Stato? Quante di queste sono perse a causa della negligenze di questi privilegiatissimi dipendenti pubblici o della migliorabile organizzazione dei loro uffici? Quanti milioni di euro vengono persi ogni anno a causa di queste negligenze? Quante volte questi privilegiati funzionari sono stati condannati per danni erariali? E quante volte sono stati aperti procedimenti disciplinari contro avvocati di Stato negligenti?

Visto che tutto questo pesa sulle tasche di noi contribuenti, forse sarebbe ora di cominciare a fare anche questi conti, oltre che quelli delle propine di fine mese!

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Aggiornamento del 5 ottobre 2011

Ricevo e pubblico una lettera di rettifica dell’Avvocato Generale Ignazio Francesco Caramazza, seguita da una mia breve replica.
AL

In merito all’articolo “la casta degli Avvocati dello Stato” pubblicato in data 3.10.2011 sul sito web www.ilfattoquotidiano.it e sul blog a firma Alessio Liberati, ritengo necessario fornire alcune precisazioni, recando l’articolo numerose inesattezze ed omissioni tali da indurre ad una lettura della realtà non conforme al vero.

Va premesso che gli Avvocati dello Stato attualmente in ruolo sono 354 e non “più di 400”, numero molto esiguo se si considera che, dal 1976 l’organico ha avuto un incremento del 34% a fronte di un aumento delle questioni trattate pari al 408,75%. Quanto alle auto blu, a parte l’autovettura in uso esclusivo a mia disposizione, per soddisfare le esigenze istituzionali dell’Avvocato Generale Aggiunto, di otto Vice Avvocati Generali dello Stato, del Segretario Generale, degli Avvocati dello Stato e degli Uffici Amministrativi per lo svolgimento dell’attività dell’Avvocatura Generale sono disponibili in tutto sei autovetture.

L’articolo lascia intendere che – non avendo in sostanza alcun interesse all’esito del procedimento – gli Avvocati dello Stato trascurerebbero l’attività defensionale, costituendosi nei giudizi con memorie “di mero rito”, “rimettendosi a giustizia” (cioè senza svolgere alcuna difesa sostanziale).

Se è pur vero che l’elevatissimo carico di lavoro che grava sugli avvocati dello Stato (400 affari contenziosi nuovi annui pro capite) può eccezionalmente far sì che si debba dar priorità alla trattazione delle questioni più delicate, le difese vengono di regola svolte con la massima diligenza.

La richiesta di compensazione delle spese e la “rimessione a giustizia” ricorrono, comunque, solo in casi particolari, nei quali non vi sia un effettivo interesse pubblico all’esito della lite, ovvero ragioni di giustizia sostanziale inducano il soggetto pubblico a non richiedere la condanna della parte privata.

Quanto al fatto che l’Avvocatura abbia una clientela “garantita” a prescindere dall’esito dei giudizi, la circostanza è in parte non esatta, in parte prova troppo. Se, infatti, per un verso, non tutti i soggetti difesi dall’Avvocatura fruiscono di un patrocinio obbligatorio, quest’ultimo (ad esempio previsto per le Amministrazioni statali) comporta l’impossibilità di declinare la difesa anche laddove il carico di lavoro suggerirebbe ad un libero professionista di operare in tal senso.

In ordine alla spettanza agli Avvocati dello Stato di un compenso ulteriore rispetto al trattamento stipendiale, l’articolo suggerisce surrettiziamente che gli Avvocati dello Stato conseguano importi estremamente elevati a prescindere dall’esito dei giudizi e dall’attività svolta. Tale affermazione è sotto più profili erronea e fuorviante.

L’Avvocato dello Stato (dipendente pubblico che accede alla qualifica attraverso un doppio concorso altamente selettivo), lungi dall’avere un “reddito garantito” aggiuntivo, riscuote gli onorari di causa in misura variabile e unicamente nell’ipotesi di giudizio integralmente vittorioso; (per chiarire meglio, sono considerate vinte solo le cause in cui la domanda avversaria è totalmente rigettata: se chi pretendeva 1000 ha ottenuto 1 la causa si considera persa. Inoltre l’Avvocatura riscuote gli onorari nei confronti delle parti private soccombenti secondo quanto liquidato dal Giudice, il quale dispone degli strumenti per graduare la condanna all’attività defensionale effettivamente svolta e alla condotta processuale, ivi compreso il diniego della liquidazione ove sia mancata attività processuale, come accade regolarmente anche nei giudizi tra parti private).

Sugli incarichi extragiudiziali occorre osservare, in primo luogo, che la compatibilità degli stessi con l’attività istituzionale è oggetto di puntuale valutazione da parte dell’Organo di autogoverno; l’Avvocato dello Stato che lo svolga non ha alcuna diminuzione nel lavoro dell’Istituto. Laddove, invece, lo stesso sia collocato fuori ruolo – nelle ipotesi espressamente previste dalla legge – va rammentato che il professionista non percepisce gli onorari di causa.

Attualmente sono collocati fuori ruolo solo nove avvocati dello Stato su un plafond di ventisei.

Inoltre, l’estensore dell’articolo dimostra di non sapere che la costituzione di parte civile dell’Amministrazione statale nei giudizi penali è regolata da precisa disposizione di legge (art.1 L. n.3 del 3.1.1991), a mente della quale la costituzione deve essere espressamente autorizzata dal Presidente del Consiglio dei Ministri. L’Avvocatura non può ovviamente che attenersi al disposto normativo.

L’articolo lamenta, infine, che sarebbe difficile conoscere “quante cause perde l’Avvocatura”, in qualche modo insinuando nel lettore il convincimento che, con una difesa generica e inappropriata, la soccombenza sarebbe la norma.

Tali dati, tuttavia, sono facilmente disponibili, contenuti in vari miei interventi pubblici (ad esempio, nella Relazione svolta all’inaugurazione dell’anno giudiziario), e nei risultati di un recente studio svolto da un organo indipendente quale è la Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione, ripresi anche dal Sole24Ore del 10.12.2007.

Le cause vinte risultano essere pari a circa i due terzi del contenzioso.

(E ciò nonostante il fatto che numerose cause – ad esempio in materia di equa riparazione per eccessiva durata del processo, pari a circa il 17% del contenzioso dell’Avvocatura Generale – si concludano inevitabilmente, per loro natura, con un esito sfavorevole).

L’Avvocatura dello Stato, dunque, lungi dal far perdere allo Stato “milioni di euro”, consente di conseguire importanti risparmi di spesa (si pensi alla vertenza TELECOM contro Ministero dell’Economia e delle Finanze sulla pretesa restituzione di somme versate a titolo di canone di concessione di servizi di telecomunicazione, il cui esito ha evitato allo Stato un esborso di oltre 500 milioni di euro, pari ad almeno un triennio della spesa per l’intera Avvocatura).

Il costo per il funzionamento dell’Avvocatura, comprensivo di ogni voce (stipendi, fitti figurativi degli immobili utilizzati, spese di funzionamento ed addirittura onorari di causa recuperati nei confronti delle controparti soccombenti, che vengono incassati dal Tesoro e poi pagati agli avvocati) ammonta infatti a circa 160 milioni di euro annui. Poiché il numero di affari impiantati ogni anno si avvicina a 200.000, il costo per l’Erario di ciascuna causa (spesso articolatasi in tre gradi di giudizio) è pari a meno di € 800, importo evidentemente di gran lunga inferiore a quello che andrebbe sostenuto rivolgendosi ad avvocati del libero foro, come confermato da recenti esperienze scaturite dalla privatizzazioni di enti pubblici.

Nel fare riserva di valutare ogni ulteriore iniziativa in ordine alle affermazioni contenute nell’articolo, chiedo formalmente la pubblicazione della presente nota di rettifica.
(Ignazio Francesco Caramazza)

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Ringrazio l’avvocatura generale dello Stato per la rettifica fornita relativamente al numero degli avvocati dello Stato in servizio, che avevo sopravvalutato di circa il 10%.

Quanto alle altre informazioni, in massima parte confermative di quanto da me affermato, stupisce – e proprio alla luce della situazione di sovraccarico di lavoro descritta dall’avv. Caramazza (che per sua stessa ammissione costringe talvolta gli avvocati erariali a “rimettersi a giustizia” ed a costituirsi con memorie di mero rito) – che l’avvocatura dello Stato ritenga comunque opportuno continuare ad autorizzare incarichi “extra”, addirittura in posizione di fuori ruolo, ai singoli avvocati.

Spiace, infine, che tra i dati generosamente forniti l’avv. Caramazza non abbia voluto indicare l’ammontare dei corrispettivi annuali (comprensivi delle propine e delle somme derivanti da incarichi extra) percepiti dagli avvocati dello Stato “più pagati”, dati questi certamente utili a far meglio comprendere ai cittadini l’entità del fenomeno, e che non abbia indicato se i “fuori ruolo” continuano a percepire lo stipendio (eccettuate le propine) pur senza svolgere il proprio lavoro presso l’avvocatura dello Stato.
Alessio Liberati