Ne aveva parlato Gilberto Oneto in una puntata de L’Infedele, ieri l’indiscrezione è stata confermata e ripetuta anche dall’ex direttore de La Padania Gigi Moncalvo nel corso del programma di Lucia Annunziata, In mezz’ora.
Moncalvo, direttore del quotidiano del Carroccio dal 2002 al 2004, ha spiegato le origini del patto di ferro che lega Silvio Berlusconi a Umberto Bossi e che avrebbe spinto la Lega, fra l’altro, a votare per il salvataggio di Marco Milanese e Saverio Romano, il ministro indagato per concorso esterno in associazione mafiosa.
Secondo il giornalista, che cita tra le altre fonti la ex giornalista di Radio Padania Rosanna Sapori e il giornalista di Famiglia Cristiana Guglielmo Sasimini, ci sarebbe un “vero e proprio contratto stipulato davanti a un notaio”. L’accordo, datato gennaio 2000, sarebbe stato firmato un anno prima delle politiche del 2001 in cui Bossi e Berlusconi erano alleati. Nel giugno del 2000 infatti, come aveva documentato Mario Calabresi su Repubblica, Giovanni Dell’Elce,, allora amministratore nazionale di Forza Italia e oggi deputato del Pdl, scrisse alla Banca di Roma per comunicare una fideiussione di “due miliardi di vecchie lire a favore della Lega”.
Moncalvo ha aggiunto che “Berlusconi aveva fatto un intervento economico pesante a favore della casse della Lega” che allora versava in uno stato finanziario critico: la sede del partito era stata pignorata e i giornalisti non ricevevano più lo stipendio. A quel punto Berlusconi avrebbe rinunciato “a un serie di cause civili per gli slogan e le paginate” de La Padania in cui il premier “veniva accusato di essere mafioso” in cambio della cessione della titolarità del simbolo del Carroccio.
Una compravendita che Moncalvo definisce “tipica della mentalità di Berlusconi”. A fare da mediatore nell’acquisto, di cui Umberto Bossi, la moglie Manuela Marrone e Giuseppe Leoni avrebbero disposto del 33% ciascuno, sarebbe stato Aldo Brancher, il ministro con la più breve carica nella storia della Repubblica.
Oltre alla titolarità del simbolo, il patto prevedeva anche la formazione di un think tank per la formulazione di una riforma costituzionale per l’elezione diretta del Presidente della Repubblica. E se fosse passata col referendum, Napolitano, aggiunge Moncalvo, sarebbe stato “costretto a dimettersi”. Dall’altra parte Berlusconi, “convinto di essere eletto dal plebiscito popolare”, sarebbe andato al Quirinale. A fare parte del think tank, aggiunge l’ex direttore de La Padania, anche “Tremonti, Calderoli e La Russa” mentre “Follini e Fini combatterono fino in fondo” affinché la riforma non passasse. Di fatto il piano ha subito un arresto l’11 marzo 2004, in corrispondenza della “fermata ai box di Bossi per motivi di salute”. Dunque, ha osservato Lucia Annunziata, Bossi e Berlusconi “si confermano legati a una partita finché morte politica non ci separi”. Il modo per mettere a tacere queste voci? Secondo Moncalvo uno solo: che il Senatùr faccia cadere il governo.