In Germania c’è chi già presenta il conto al governo di Angela Merkel per la controversa scelta di abbandonare l’energia nucleare entro il 2022: 18 miliardi di euro. A tanto ammonterà infatti il costo dello smantellamento dei 17 reattori della Repubblica federale. Intanto in Svizzera il Consiglio degli Stati, il Senato della Confederazione, ha approvato la decisione del governo di abbandonare progressivamente l’energia atomica entro il 2034. Resta tuttavia da capire la modifica apportata al testo del documento già approvato dalla Camera bassa nel quale ora si legge che, in futuro, “nessuna tecnologia sarà vietata”.
Spegnere le centrali nucleari presenti sul loro territorio costerà ai tedeschi da 670 milioni a 1,2 miliardi di euro per ogni singolo impianto. A rivelarlo è uno studio della società di consulenza Arthur D. Little (Adl) specializzata in strategia e operations management che offre servizi professionali alle imprese dal 1886. La spesa, che peserà sulle casse delle imprese energetiche tedesche almeno fino al 2018, è una conseguenza della svolta energetica decisa da Berlino all’indomani della tragedia giapponese di Fukushima Daiichi.
E se in Germania dall’opinione pubblica non arrivano grandi proteste, incanalate per lo più verso gli aiuti ai cosiddetti “Pigs”, le quattro ditte energetiche coinvolte dalla decisione di abbandonare l’atomo sono invece sul piede di guerra. E.on, Rwe, EnBW e Vattenfall, secondo i calcoli di Adl dovranno infatti sborsare nei prossimi sette anni cifre che, a seconda della centrale, saranno comprese fra i 150 e i 250 milioni di euro per ogni reattore dismesso. Importi che potrebbero aumentare, se si considera anche lo stoccaggio del materiale radioattivo che verrà generato dagli smantellamenti. Tanto che c’è chi scommette sulla lievitazione di questi oneri fino a un totale di ben 250 miliardi di euro entro il prossimo decennio.
Per i detrattori della scelta di abbandonare l’energia nucleare i problemi non si limitano ai costi e ai rischi di questa “complessa operazione”, ma potrebbero portare presto il Paese a subire dei blackout che “non dovrebbero essere sottovalutati”. Non solo, gli oppositori della svolta verde tedesca ritengono che i costi verranno pagati anche dai consumatori, sia in termini di tasse e bollette più care che, in caso di interruzioni temporanee delle forniture di elettricità, di pesanti disagi. La cancelliera non torna però sui suoi passi e, come sancito da una nuova legge approvata di recente in Parlamento, il progressivo spegnimento dei nove reattori tedeschi rimasti funzionanti sarà presto una realtà.
Nel frattempo, anche in Svizzera si è deciso di uscire definitivamente dall’energia nucleare: è infatti giunta la delibera della Camera alta che, associandosi alla decisione dello scorso maggio della Camera bassa di non costruire più nuove centrali sul territorio elvetico, vedrà anche il progressivo spegnimento degli impianti esistenti. Mentre il testo di sintesi delle due Camere del Parlamento federale va ad associarsi alla “strategia energetica 2050” sviluppata dal governo svizzero, prevedendo misure che facilitino lo sviluppo delle energie rinnovabili, è prevista allo stesso tempo una continuazione della ricerca nucleare. Affianco alla decisione che nessuna autorizzazione sarà più concessa per la costruzione di nuove centrali atomiche si legge infatti che ”non sarà vietata alcuna tecnologia”. Lo conferma Filippo Lombardi del Pdc/Ticino che, parlando a nome della Commissione preparatoria, ha affermato: ”Anche se viene messo al bando totalmente l’atomo, il provvedimento non impedirà ai nostri successori di costruire nuovi reattori”.