Stop alla corruzione, maggior libertà politica e via libera alle riforme annunciate da mesi in parte rimaste lettera morta. E’ questa la piattaforma con cui migliaia di marocchini sono tornati in piazza nelle maggiori città del Paese. Una serie di rivendicazioni portate avanti negli ultimi mesi dal Movimento 20 febbraio, che raccoglie circa 80 reti della società civile.
A Casablanca, Tangeri e Rabat, i manifestanti sono arrivati davanti all’ingresso delle carceri per chiedere, ancora una volta, la liberazione dei prigionieri arrestati durante le proteste degli ultimi mesi. Un capitolo delicato, quello degli arresti, denunciato anche da Amnesty International nei mesi scorsi e che aveva spinto il re Mohammed VI ad annunciare la grazia per un centinaio di detenuti la scorsa primavera.
Secondo l’emittente iraniana Press Tv, fra le poche a dare notizia delle proteste di ieri, molti degli slogan scanditi in piazza chiedevano interventi concreti contro la corruzione nel Paese. Una questione presente anche sulla stampa nazionale: il quotidiano Le Matin riportava ieri i risultati di uno studio sul malaffare nel sistema sanitario nazionale dal quale emerge una realtà dove favoritismi, corruzione e privilegi giocano ancora un ruolo di prim’ordine.
E se i dati dell’economia del secondo trimestre del 2011, resi noti oggi, mostrano una crescita del 4,2 per cento rispetto al 3,6 per cento dello scorso anno, le condizioni di vita per milioni di cittadini restano dure con un reddito pro capite medio che non supera i 5000 dollari l’anno. Non solo: divario sociale, povertà e una notevole crescita demografica sono elementi di forte fragilità come mostra l’indice di povertà delle Nazioni unite, che tiene conto anche di elementi come il livello di mortalità infantile, il grado di malnutrizione e la scolarità. Secondo l’Onu, infatti, nel 2010 il tasso di povertà reale nel Paese ha raggiunto il 28 per cento della popolazione, con 8,9 milioni di poveri. Più che in Guatemala, Egitto e Tunisia.
La piazza, intanto, come a febbraio, continua a invocare riforme costituzionali convincenti, criticando in parte quelle apportate finora dal re Mohammed VI che prevedono il passaggio di alcuni poteri dal re al Parlamento. Un primo passo che non basta però al Movimento del 20 febbraio che chiede con insistenza un’ulteriore riduzione del ruolo del re, ancora capo dell’esercito e indiscussa autorità religiosa. Anche dopo la schiacciante vittoria, con il 98 per cento dei sì, del referendum di luglio con il quale i marocchini hanno detto sì alle riforme che mirano proprio a ridisegnare il ruolo del monarca.
I sostenitori della Primavera marocchina, assai meno irruente di quella tunisina e egiziana, ma in piena attività, sembrano decisi a non mollare la presa. Soprattutto in vista delle prossime elezioni, previste per il prossimo 25 novembre. Per ottenere tutto quanto considerato indispensabile al nuovo Marocco, come ha ribadito in una recente intervista al sito francese di Rue89 Osama Elkhlifi, tra i fondatori del Movimento del 20 febbraio. Ovvero una vera monarchia parlamentare con un re che non abbia poteri esecutivi, una road map per combattere la corruzione, la liberazione di tutti i prigionieri politici, libertà di espressione e diritti civili.
di Tiziana Guerrisi