Venerdì a Firenze si apre una due giorni di confronto per stilare una Carta deontologica che costringa i giornali a riconoscere un giusto compenso a freelance e collaboratori oggi costretti a lavorare quasi gratuitamente. Una ricerca dell'Ordine ha smascherato i "numeri della vergogna": anche i quotidiani che ricevono milioni di euro di contributi pubblici riconoscono cifre irrisorie per un articolo
Di molti quotidiani sono ormai la spina dorsale. La manovalanza a basso costo che lavora a chiamata e deve essere sempre disponibile. La pletora di giornalisti precari in balia di collaborazioni quasi sempre mal pagate e costretta ad accettare contratti capestro. Sono i cronisti freelance, termine che in Italia camuffa spesso il termine disoccupato e precario. Decine di migliaia di giovani e non, alcuni con esperienze professionali importanti. Portano in redazione gran parte delle notizie, sostenendo autonomamente le spese per scrivere il pezzo, dalle telefonate ai trasporti. E che alla fine ricevono compensi ridicoli.
Basta scorrere la tabella dei compensi che l’Ordine dei giornalisti ha raccolto nel 2010 in “Smascheriamo gli editori” per rendersene conto. Una ricerca svolta tra mille difficoltà che fotografa lo stato della stampa italiana e che l’Ordine dei Giornalisti ha poi trasmesso alle procure della Repubblica. Basta riportare i compensi pagati dai quotidiani che ricevono il finanziamento pubblico per comprendere perché sono stati definiti “i numeri della vergogna”. Solo qualche esempio. La Repubblica a fronte di 16.186.244,00 euro di contributi dello Stato all’editoria elargisce un compenso che varia tra i 30 e i 50 euro lordi a pezzo. Il Messaggero, che riceve 1.449.995,00 euro di contributi pubblici, riconosce 9 euro di compenso per le brevi, 18 euro le notizie medie e 27 euro le aperture. Lordi, ovviamente. Il Sole 24 Ore: 19.222.767,00 euro di contributi pubblici e 0,90 euro a riga, con cessione dei diritti d’autore. Libero: 5.451.451 di finanziamenti pubblici e 18 euro lordi per un’apertura. Il Nuovo Corriere di Firenze riceve 2.530.638,81 euro di contributi pubblici e versa un compenso a forfait tra i 50 e i 100 euro al mese. Ma i contratti mensili sono un’altra capitolo. Ci sono testate che prevedono un pagamento di 700-800 euro lordi al mese ma a una condizione: che il giornalista scriva un dato numero di articoli, se non raggiunge la quantità richiesta non viene pagato. E chi decide quanto deve scrivere? Il giornale, ovviamente.
La situazione è dunque insostenibile. Per affrontare il problema e individuare una soluzione il 7 e l’8 ottobre a Firenze “Giornalisti e Giornalismi, libera stampa liberi tutti”, un incontro promosso da Ordine nazionale dei Giornalisti, Federazione Nazionale della Stampa Italiana, Ordine dei giornalisti della Toscana e Assostampa Toscana, con il sostegno di Inpgi e Casagit, che si svolgerà al Teatro Odeon. 10 euro di contributo per partecipare e la possibilità di dormire gratuitamente presso le famiglie che “adotteranno un giornalista precario”, offrendo un posto letto per l’occasione. Obiettivo della due giorni è la redazione della Carta di Firenze, uno statuto deontologico che stabilirà rapporti di collaborazione tra colleghi e norme di comportamento per gli editori e la cui violazione potrà essere oggetto di procedimenti sindacali o disciplinari.
L’iniziativa è nata su idea e grazie alla volontà del Gruppo di lavoro sul precariato creato appositamente per tutelare i colleghi precari dall’Ordine nazionale dei giornalisti e composto dai consiglieri Susanna Bonfanti, Francesca Cantiani, Domenico Guarino, Alessandro Mantovani, Fabrizio Morviducci, Massimiliano Saggese, Cosimo Sansimone e Paolo Tomassone. Con loro ha collaborato Antonella Cardone, consigliere dell’Ordine e componente della commissione lavoro autonomo della Fnsi.
“Oggi sono circa 100mila i giornalisti iscritti all’ordine, di cui il 70% pubblicisti. E’ attivo poco più del 50% di loro, che guadagna meno di 5000 euro l’anno”, spiega Antonella Cardone, di Free Ccp (Coordinamento Giornalisti Collaboratori Precari e Freelance in Emilia Romagna) e consigliere nazionale dell’Ordine dei giornalisti. Oltre allo sfruttamento economico, durante la crisi sono stati persi 5000 posti di lavoro tra pensionamenti e prepensionamenti e non c’è stato turnover. Niente assunzioni, insomma, per reintegrare chi lasciava. “A questo – aggiunge Cardone – si aggiungono le scuole di giornalismo che producono professionisti in serie mentre cala a picco l’offerta di lavoro stabile. La conseguenza? Che si è disposti anche a lavorare gratis in redazione, soprattutto delle testate online”.
Nella Carta di Firenze si introdurrà anche il criterio del giusto compenso perché “i giornali che ricevono contributi pubblici devono sottostare al pagamento di una retribuzione dignitosa per i collaboratori stabilita da un comitato paritetico”. E qui bisogna affrontare anche l’ostracismo degli editori che negli ultimi anni hanno stabilito riduzioni unilaterali, da Rizzoli al gruppo Caltagirone.
Una condizione disperata quella di migliaia di giornalisti italiani che ha dimostrato che si può morire di precariato. “La manifestazione di Firenze sarà dedicata a Pierpaolo Faggiano, ex collaboratore della Gazzetta del Mezzogiorno che si è ucciso a giugno a causa delle pessime condizioni lavorative. Per questo a Firenze vogliamo chiamare a raccolta tutti i colleghi, contrattualizzati e non, per ragionare su come promuovere la collaborazione”. Gli esempi sono concreti: chi è assunto non può ricattare i freelance sottopagati chiedendo servizi nei giorni festivi, ad esempio, o pezzi che non verranno pubblicati. “Siamo giornalisti tutti uguali, e chi è fisso non è un privilegiato che può ricattare il collega precario. Vogliamo un cambiamento di mentalità per fare capire che siamo sulla stessa barca”.
Dopo l’8 ottobre la Carta di Firenze sarà adottata dall’Ordine Nazionale dei Giornalisti e diventerà operativa. Poi spetterà agli ordini regionali applicarla e ai cronisti fare denuncia affinché si aprano procedimenti disciplinari e sanzionatori. “Non vogliamo fare i manettari – conclude Cardone – ma la precarietà e la povertà pongono il problema della ricattabilità dei giornalisti che incide sulla qualità dell’informazione. E un’informazione che costa poco, vale poco“.