Tutti vorremmo sapere come andrà a finire la crisi del debito pubblico. Vorremmo essere rassicurati sul fatto che non ci sarà una nuova recessione. Ma non abbiamo la sfera di cristallo per indovinare quali decisioni prenderanno le organizzazioni sovranazionali e i governanti dei diversi paesi, cosa faranno le banche centrali, come reagiranno le borse e le opinioni pubbliche. Possiamo, invece, abbozzare scenari e rispondere su aspetti specifici. Decine di domande di questo tipo ci giungono quotidianamente dai lettori de lavoce.info, attraverso e-mail e commenti agli articoli pubblicati. Abbiamo deciso di raccogliere le più significative e interessanti e di dare risposte formulate dai redattori de lavoce.info con un linguaggio quanto più possibile chiaro e semplice. Questo Dossier si arricchirà nei prossimi giorni. Anche grazie a voi che, crediamo, continuerete a porre i vostri quesiti.
Consideriamo lo scenario peggiore: il break up dell’euro. Che cosa implicherebbe per i paesi europei, in particolare per l’Italia?
Risposta difficile: dipende da quale sarebbe il nuovo regime dopo il break up. Consideriamo due possibili scenari.
1. Si ritorna alla lira. Il passato ci aiuta a fare qualche inferenza. Assisteremmo a una forte svalutazione, un rapido guadagno di competitività, una ripresa dell’economia e poi un aumento dei prezzi interni, pressioni sui salari, inflazione, nuova svalutazione ecc. Un po’ il film degli anni Settanta. Un forte disincentivo a fare riforme strutturali perché la svalutazione agirebbe da sostituto.
2. Si creano due monete europee o due aree monetarie: euro Nord e euro Sud. Ci sarebbe una forte svalutazione dell’euro Sud, guadagno di competitività e aumento dell’export verso i paesi del Nord Europa, ripresa più rapida, e vampata inflazionistica come sopra. Ma, se la Bce del Sud godesse di sufficiente autonomia istituzionale, dovrebbe resistere maggiormente alle pressioni a finanziare la spirale prezzi-salari. Quindi, potenzialmente, meno inflazione. Ciò, del resto, in parte dipenderebbe dall’accordo tra le due Bce. È possibile, che dopo l’aggiustamento iniziale, si converrebbe un cambio fisso tra euro Nord e euro Sud, che agirebbe da freno alla spirale prezzi-salari.
Luigi Guiso
Negli ultimi tre anni abbiamo visto saltare banche nei maggiori paesi, ma non in Italia. Esiste oggi il rischio fondato che qualche nostra banca cada nell’insolvenza?
Va detto che dopo il disastro causato da Lehman Brothers, è da escludere che si arrivi al fallimento di altre banche. Dunque, il rischio che qualcuno “salti” in Italia come in altri paesi, è molto basso. Detto questo però va ricordato che:
a) le banche italiane erano sicuramente più robuste delle altre al momento in cui la crisi è scoppiata (ormai quattro anni fa) ma da allora molte cose sono cambiate.
b) Stiamo assistendo ad una recrudescenza della crisi. Chi si era illuso che il peggio fosse già alle spalle, si è dovuto ricredere. Il recente rapporto sulla stabilità finanziaria del Fondo monetario internazionale ha affermato che gli indicatori di rischio e di fragilità sono tornati a salire, come non accadeva dai tempi di Lehman (ottobre 2008).
c) L’economia mondiale sta rallentando e qualcuno teme addirittura una recessione: ciò naturalmente amplifica i problemi finanziari.
d) Il problema centrale oggi è la crisi europea: il timore di un default della Grecia (ma anche di Portogallo e Irlanda) ha determinato il “contagio” all’Italia e alla Spagna. Sono quindi saliti i differenziali di tasso (spread) richiesti dagli investitori per comprare titoli pubblici di questi paesi. Gli spread italiani si trovano ormai da due mesi sopra i 3,5 punti. Lo Stato italiano paga cioè, per i nuovi debiti, 3,5 punti più della Germania (che paga invece meno di 2).
e) In questa situazione le banche si trovano in grande difficoltà per due motivi. Vedono aumentare le perdite sui titoli posseduti (i vecchi titoli valgono meno perché sono disponibili altri con tassi superiori) e devono sopportare costi di raccolta che salgono proporzionalmente all’aumento degli spread del Tesoro.
f) Gli spread italiani sono oggi superiori a quelli spagnoli (non era così fino ad agosto) perché la manovra italiana di aggiustamento dei conti è stata confusa, incoerente e poco credibile.
g) Le banche italiane oggi non sono molto più fragili di altre (le francesi, ad esempio, che sono anch’esse nell’occhio del ciclone in questi giorni) ma scontano l’effetto congiunto della crisi europea e dell’incapacità di crescita del paese.
g) La soluzione del problema passa per interventi finalmente risolutivi in Europa che riescano ad arginare una crisi che rischia di travolgere l’euro e l’intera costruzione europea. Ma anche per un’azione di governo capace di rilanciare finalmente un’economia che negli ultimi 12 anni è cresciuta complessivamente solo del 2,7 per cento e che, secondo le previsioni del Fondo monetario, accumulerà altri due punti di ritardo nei prossimi due anni. Non ci possono essere banche robuste in un’economia stagnante.
Marco Onado
Nonostante sia opinione diffusa la necessità del pareggio sin dal 2012, non è troppo rischioso farlo a tutti i costi?
Non serve veramente il pareggio di bilancio nel 2012. Serve che migliori la qualità della manovra estiva con la predisposizione di misure che riducano la spesa pubblica in modo permanente e con il riavvio di privatizzazioni e liberalizzazioni. Se migliora la qualità della manovra, il pareggio di bilancio non serve. Se non migliora la qualità della manovra, il pareggio di bilancio nel 2012 (raggiunto attraverso un ulteriore aumento di tasse) non basterà.
Francesco Daveri
È chiaro perché un tedesco non voglia sostenere l’onere degli altri paesi. Ma c’è qualche buon motivo, in soldoni, per cui dovrebbe invece accettare questo costo?
Le imprese tedesche pagherebbero un costo molto elevato da una “resurrezione” del marco. Il neo-marco si rivaluterebbe molto nei confronti dell’euro orfano della Germania, il che renderebbe le esportazioni tedesche poco competitive. Anche le banche tedesche potrebbero pagare un costo molto elevato dato che i loro bilanci sono pieni di asset (titoli del debito pubblico greco, italiano, francese, eccetera) denominati in una valuta che si deprezzerebbe. Il valore di questi asset scenderebbe drasticamente, peggiorando la qualità dei bilanci delle banche e anche il loro valore di borsa, se sono quotate. L’opinione dell’elettorato tedesco non coincide però necessariamente con gli interessi delle imprese né con quelli delle banche.
Francesco Daveri
Anche se i tedeschi sono ferocemente contrari, aumentare la liquidità e abbassare la quotazione dell’euro potrebbe giovare all’economia europea?
Una svalutazione dell’euro aiuterebbe la competitività dell’industria europea, soprattutto quella delle aziende che hanno costi in euro cioè che usano poche materie prime e tanto lavoro. Quindi se l’euro si deprezza ma non crolla, è una buona notizia. Peraltro, l’eventuale mossa della Bce potrebbe essere vista semplicemente come una reazione a una mossa analoga già in atto da tempo da parte della Fed che da quando ha inaugurato i suoi piani di Qe (quantitative easing) sta di fatto mantenendo basso il valore del dollaro a spese di tutti gli altri paesi del mondo. Le mosse coordinate di Fed e Bce solleverebbero la (legittima) protesta dei paesi emergenti che già da tempo si lamentano della strisciante aggressione valutaria degli americani.
Francesco Daveri