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Treviso, il consiglio provinciale leghista <br/>ha deciso: Gentilini resta ma deve star zitto

Nessuna defenestrazione: il vicesindaco trevigiano rimane nel Carroccio ma non deve più parlare con la stampa. Il prossimo obiettivo dei censori padani è il sindaco di Verona Flavio Tosi

Giancarlo Gentilini, vicesindaco di Treviso

Giancarlo Gentilini deve stare attento perché con le sue parole ci danneggia. Se ha qualcosa da dire, che lo dica nelle sedi deputate, non più con la stampa, come ha fatto fina ad ora. Dobbiamo fare quadrato per il bene del partito e il vicesindaco non può più cantare fuori dal coro”. Messi da parte timori e incertezze, il direttivo provinciale della Lega, dunque, ha deciso: Gentilini resta dentro. Ma a patto che tenga la bocca chiusa. Le sue recenti sortite, l’ultima delle quali contro l’utopia leghista della Padania e a favore dell’unità nazionale – in totale sintonia, cioè, con il Capo dello Stato – non sono piaciute a nessuno dentro il Carroccio trevigiano.

La misura è colma, si sono detti; non possiamo più andare avanti così e allora ieri sera, nello storico quartier generale a pochi passi dalla Strada ovest, il K3, il consiglio provinciale si è dato appuntamento per decidere il da farsi. “Se Gentilini dice ancora una sola parola contro la Padania e la secessione è immediatamente fuori dalla Lega. E lo stesso discorso vale per tutti gli altri leghisti trevigiani”, aveva detto ieri il segretario provinciale di Treviso, Antonio Da Re, fiutando l’aria che tirava. Alla fine delle chiacchiere, però, nessuno se l’è sentita di cacciare Giancarlo Gentilini. Nemmeno il senatore Piergiorgio Stiffoni, che solo pochi giorni fa lo aveva definito “un virus tossico da estirpare”, chiedendone a gran voce l’espulsione; nemmeno lui ha potuto strappargli la poltrona e il giorno dopo ha chiuso così, con una manciata di parole, la spinosa questione: “Di queste cose la stampa non deve più capire nulla. L’importante è che abbiamo capito noi. Buongiorno”.

Fare quadrato per proteggere un partito in crisi (specie di consensi) è la parola d’ordine uscita dal direttivo. Ma guai a definire la Lega un partito bolscevico che si diletta ad epurare i dissenzienti. “Le voci critiche ci sono ed è giusto che ci siano – mette le mani avanti Da Re – ma non devono andare all’esterno, non devono arrivare alla stampa: d’ora in poi non è più consentito rilasciare dichiarazioni che possono essere male o bene interpretate. Dobbiamo collaborare dentro il partito perché non è che parlando con i giornalisti i problemi si risolvano. Fuori si deve andare con un’altra etica”.

Antonio Da Re, considerato una sorta di giudice conciliatore (o di colomba, se Stiffoni è visto come un falco) in questo “processo” contro l’ex alpino, balilla e avvocato Gentilini, dice di essere sereno e che sereni sono anche i rapporti con l’imputato eccellente: “Proprio ieri pomeriggio ho visto il vicesindaco.. abbiamo fatto una chiacchierata molto serena. Anche il sindaco di Treviso e segretario provinciale del veneto, Gian Paolo Gobbo, lo è. D’altronde, Gentilini ormai lo conosciamo tutti: le sue esternazioni non hanno secondi fini, a differenza di quelle di altri…”.

E Genty come ha preso tutto questo movimento? Ieri, mentre al K3 si decideva sul suo futuro dentro il partito (sebbene Da Re neghi che la questione fosse all’ordine del giorno), lui se ne stava tranquillamente seduto sulla poltrona di uno studio televisivo accanto ad un paio di giovani miss. Un po’ meno effervescente del solito a causa delle continue tirate d’orecchi (prima dal segretario provinciale, che lo ha definito un “super democristiano”, poi dal direttivo), l’ottantaduenne vicesindaco si è però lasciato andare a una sincera dichiarazione d’amore all’inno nazionale e all’Italia: “Il tricolore prima di tutto. Io rispetto la volontà di coloro che scelsero in maniera unanime l’inno di Mameli in sostituzione di quella magnifica marcia che è la marcia reale. Quindi io non mi metto contro alla loro volontà. L’inno di Mameli deve essere l’inno dell’Italia. Viva l’Italia!”.

Messo il cerotto sulla bocca a Gentilini (ma per quanto?) ora la bestia nera per la Lega veneta è il sindaco di Verona, Flavio Tosi. “La Padania è solo filosofia”, ha detto ieri il “nipotino” dello “sceriffo”. “Su questo tema il partito rischia di dividersi, ma i problemi del Paese restano”. Su di lui si è gettato a capofitto Roberto Calderoli, ministro per la Semplificazione e coordinatore delle segreterie nazionali: “Dissento dalle dichiarazioni di Tosi”, ha replicato a muso duro, sperando così di rimettere in riga il “ribelle”. La coperta ‘verde’ ormai è sempre più corta e piena di toppe; i colonnelli la tirano da tutte le parti, ma in mezzo gli strappi aumentano.

di Monica Zornetta