Dopo il desolante rapporto Svimez sul meridione e la sua economia al collasso e, soprattutto, l’esodo di migliaia di giovani, sulla Gazzetta del Mezzogiorno è stato pubblicato questo editoriale a firma di Lino Patruno che riproduce la lettera di un giovane costretto a fuggire. A commento e risposta ho scritto questa lettera in basso immaginando che venga da un ragazzo pugliese che è già all’estero, provando a fornire un’altra chiave di lettura a questo fenomeno. Attendo e sono curioso di leggere i vostri commenti.
Se io fossi un giovane del Sud, scriverei quanto segue:
Quello che mi ha spinto a lasciare la mia Puglia (ma qui si può estendere il pensiero a tutto il Meridione) è la consapevolezza di essere non solo cittadino europeo, ma del mondo intero. Qui al Nord da dove scrivo (ma potrebbe essere Est oppure Ovest) ho trovato nuove opportunità, e la mia non è stata una fuga, ma la ricerca di una nuova identità che non si può limitare al luogo dove siamo nati. Vivere nella propria terra non è un valore assoluto.
Certo, il mare e gli ulivi li porto sempre nel cuore, ma più passa il tempo più dove mi trovo i luoghi e le cose acquistano familiarità, e penso che la nostra vera «patria» sia dove si riescono a creare e coltivare gli affetti, dove c’è la capacità di sognare, di trovare una nicchia nella quale sentirsi finalmente utili e appagati. L’altrove è una scoperta dura, ma fantastica e ci vuole lo stesso coraggio e determinazione sia a rimanere che a partire, perchè il metro e la misura a cui ci si dovrebbe riferire non è la nostalgia o lo struggersi di una terra lontana, ma le nostre aspirazioni.
Nelle scelte importanti della vita bisogna comprendere bene cosa si vuole, la velocità alla quale si intende vivere. La nostra Puglia è la terra mediterranea della lentezza, è sempre stato così e sempre sarà: se quella è la propensione del nostro animo si deve rimanere qui, ma se la velocità, i nostri desideri e le ambizioni non collimano con l’identità del luogo nel quale ci troviamo, allora bisogna andar via. E senza fare tragedie, ma con la consapevolezza di fare la scelta giusta.
Per tutti i nostri sogni o ambizioni c’è il luogo adatto dove poterli realizzare e viverli con pienezza. E poi oggi non è più come prima, la globalizzazione ha avvicinato e reso più piccolo questo nostro pianeta, non si parte più sui bastimenti, ci sono voli low cost a prezzi appetibili che abbattono le distanze, ci sono i social network con i quali si riesce a stare più vicini ai genitori o agli amici come se si vivesse al portone accanto.
E se c’è una cosa che oggi i genitori e anche le istituzioni di formazione dovrebbero fare è aprire la mente dei giovani a nuove opportunità, incentivare i programmi Erasmus (che consentono di studiare per qualche tempo in Università straniere) gli scambi e la mobilità europea a tutti i livelli, bisogna far comprendere a chi si affaccia alla vita che le prospettive e possibilità di vita sono infinite e non limitate a ciò che abbiamo davanti al naso.
I cervelli non fuggono (oggi il termine va molto di moda), trovano semplicemente la possibilità di esprimersi altrove, dove ce n’è più bisogno. E non è vero che se un ricercatore foggiano trova una nuova cura contro il cancro alla Boston University non ne beneficeranno un giorno anche i suoi concittadini.
L’emigrazione non è più quella dei nostri nonni, e non deve più essere considerata un disvalore, ma un modo per accrescere e realizzare la propria personalità. Solo con questa nuova consapevolezza si possono davvero aiutare i giovani, continuare a lamentarsi non serve a nulla.