Ogni giorno altri morti: ieri due teste mozzate nella capitale e quattro cadaveri (due di cittadini statunitensi) ritrovati a Ciudad Juarez. Nella stazione turistica più famosa del Paese, nonostante l'invio dell'esercito, studenti e professori disertano le lezioni per il timore di azioni armate dopo la campagna d'estorsione dei narcotrafficanti
La violenza dei narcos messicani è ormai un macabro stillicidio quotidiano. Ieri sera due teste mozzate sono state trovate a Città del Messico, nei pressi della più grande base militare della capitale messicana. Gli ultimi ritrovamenti di questo tipo, nella capitale, risalgono al dicembre del 2007 e al gennaio del 2008, quando quattro teste vennero abbandonate vicino l’aeroporto internazionale. Assieme ai resti umani, secondo gli inquirenti messicani, c’era – come spesso accade nei rituali dei narcos – un biglietto di rivendicazione.
Responsabile del duplice omicidio è il cartello “Mano con gli occhi” (Mano con ojos), una gang di narcotrafficanti attiva nella capitale. Secondo il procuratore generale di Città del Messico, Miguel Mancera, l’azione dei narcos potrebbe essere il segnale che una nuova leadership ha preso il controllo del cartello, dopo l’arresto, avvenuto ad agosto, del presunto capo, Oscar Osvaldo Garcia Montoya, reo confesso di 300 omicidi e di essere il mandante di altrettanti. Le due vittime, maschi tra i 20 e i 30 anni, più che membri di un cartello rivale, secondo la polizia, potrebbero essere piccoli spacciatori che cercavano di ritagliarsi una fetta di mercato contando proprio sulla presunta debolezza del cartello, dopo l’arresto di Garcia Montoya.
In un’altra zona del paese, a Ciudad Juarez, nel nord, al confine con gli Usa, sono stati invece quattro i cadaveri ritrovati dalla polizia. Il giornale locale El Paso Times ha scritto che due vittime sono messicane, Alberto Nieto Nieto (24 anni) e Alma Yesenia Flores (21), mentre le altre due vittime sono cittadini statunitensi. Il consolato Usa di Ciudad Juarez ha confermato che si tratta del diciannovenne Pablo Noe Williams e di sua madre Rosa Williams (35 anni). Il procuratore generale dello stato di Chihuahua, dove si trova Ciudad Juarez, ha detto alla stampa che l’auto con targa texana dei due Williams era crivellata di proiettili. Un segnale di quanto rapidamente stia precipitando la situazione in alcune zone del Messico viene da Acapulco.
Nella popolare destinazione turistica, 800 mila abitanti, quasi tutte le scuole elementari e medie sono chiuse da agosto, dopo che insegnanti, presidi e genitori hanno ricevuto minacce di morte e richieste di denaro da parte dei cartelli dei narcos, in una colossale campagna di estorsione. Da ieri, l’esercito messicano ha mandato 120 soldati a pattugliare le zone più pericolose della città e a scortare gli studenti verso i propri istituti. Nonostante questa presenza, moltissimi genitori non hanno lasciato uscire i figli, per paura di azioni armate dei cartelli della droga. E l’escalation di violenza in Messico è diventata anche un argomento della campagna elettorale per le primarie del partito repubblicano statunitense.
Il candidato di punta del campo repubblicano, Rick Perry, governatore del Texas, due giorni fa in un comizio nel New Hampshire ha ipotizzato che sia anche l’esercito statunitense “in collaborazione con quello messicano” a impegnarsi “per uccidere questi cartelli della droga e tenerli lontani dai nostri confini”. Alle domande dei giornalisti su come ciò potrebbe avvenire, Perry non ha però dato una risposta articolata, ma ha solo ripetuto che è importante per gli Usa “evitare che il Messico fallisca”. La risposta messicana non si è fatta attendere. L’ambasciatore a Washington, Arturo Sarukhan, ha detto ai media messicani che “la questione della partecipazione o della presenza di truppe statunitensi sul suolo messicano non è tra quelle oggetto dei negoziati”.
I negoziati a cui si riferisce l’ambasciatore sono quelli bilaterali messi in piedi dai due governi per cercare di coordinare le azioni contro i cartelli della droga. Finora hanno prodotto ben poco, rispetto alla violenza dell’offensiva criminale. Se l’esperienza in altri paesi conta qualcosa, nemmeno l’altro grande programma antidroga degli Usa, il Plan Colombia, lanciato da Bill Clinton e poi confermato dai suoi successori, ha avuto grande successo. Semmai è servito a finanziare e addestrare l’esercito colombiano con il conseguente inasprimento del conflitto contro i narcos e pesantissime ripercussioni per lo stato dei diritti umani nel paese latinoamericano.
di Joseph Zarlingo