Come può succedere che un paese sull’orlo di un baratro economico, sociale e morale, non sia in grado di deporre una volta per tutte il principale responsabile di questa rovina? Per quale misteriosa ragione un paese occidentale e democratico come il nostro dimostra di non possedere gli anticorpi per espellere l’agente patogeno che lo sta divorando dall’interno?

Questo non è, come si legge da più parti, il tramonto infinito del ventennio berlusconiano. Questa è la lenta agonia di una nazione che marcisce. Temo che la storia, come già accaduto in passato, ci aspetti al varco, che il passaggio a una nuova era politica non potrà avvenire se non in maniera traumatica, con una catastrofe finanziaria a cui nessuno, me compreso, si sta preparando. La vita strettamente quotidiana, dopotutto, scorre assente, con la complicità di un’opposizione che si sforza a parole di conquistare le masse indifferenti, quei ceti sociali che ormai navigano oltre l’antipolitica, in una terra di nessuno in cui vale solamente il tornaconto del giorno, senza chiedersi che cosa significhi veramente “essere indifferenti”.

Berlusconi, come prima di lui molti altri ‘autocrati’ (così lo definì il Financial Times lo scorso febbraio), reclama su di sé una specie di diritto di possesso sulla nazione, un principio divino basato sull’identificazione totale tra il leader e il popolo, un postulato riassumibile in una formula semplice: se cade il leader, cade il popolo.

Non si tratta quindi di evocare il senso di responsabilità, come si sente spesso negli appelli (sempre troppo deboli) alle dimissioni che vengono rivolti a questo governo. Qui non è in gioco la “responsabilità” in quanto consapevolezza o coscienza del proprio ruolo. La “responsabilità” come dovere nei confronti di una società di uomini, è stato dimostrato fino alla nausea, non si confà alla composizione genetica del premier. L’uomo ormai non crede più neppure alle cause deformi e deformate dall’ego per le quali si è battuto nel corso della sua storia, tuttavia se ne sta arroccato in un bunker dal quale si proclama indifferente alla crisi economica (Non cambia nulla, andiamo avanti, ha dichiarato ieri alla notizia del declassamento del rating italiano certificato da Moody’s), incitando, non si sa bene chi, a vincere una guerra ormai drammaticamente perduta.

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