Tra le bacchettate di Giorgio Napolitano (che anche oggi ha invocato la necessità di un governo d’emergenza), la crisi economica che avanza, i malpancismi sempre più evidenti e numerosi all’interno della maggioranza, Silvio Berlusconi continua a prendere tempo. Mai come adesso il premier galleggia su un terreno fragile e franoso che da un momento all’altro potrebbe sfaldarsi.  Ma l’importante per il Cavaliere è riuscire a stringere i tempi sulla legge Bavaglio, inserita nell’agenda prima del decreto sullo sviluppo. Nessun segnale positivo. Il rinvio del decreto per lo sviluppo al 20 ottobre e della nomina del Governatore di Bankitalia addirittura a novembre sono sintomi di una crescente debolezza: si tratta infatti di decisioni cruciali che (per una volta) competono direttamente alla responsabilità del premier. Ma il Cavaliere non sembra in grado di prenderle.

Il pericolo è che questo surplace finisca per danneggiare la nostra economia che ha bisogno di decisioni rapide, come insistono tutti, dalla parti sociali alle forze politiche. Dal vertice di maggioranza che avrebbe dovuto mettere sotto accusa Giulio Tremonti non è emerso praticamente nulla: il premier ha scherzato sul nome del partito (Forza gnocca) e spiegato ai suoi ciò che è evidente a tutti, vale a dire che in questo momento di tempesta il superministro dell’ Economia è intoccabile. Il massimo che si è potuto ottenere è il coordinamento delle misure per la crescita affidato al ministro Paolo Romani e il coinvolgimento diretto dello stesso Berlusconi. Si discute di misure come la patrimoniale soft, le dismissioni (una storica chimera), la riforma del fisco e delle pensioni, due tipi diversi di condono. Ma la sensazione è che non ci sia ancora niente di concreto.

Il fatto è che non esistono nemmeno certezze sul futuro della legislatura. Tremonti, due giorni fa, con la sua battuta sulla Spagna che ha fatto infuriare il Cavaliere, ha in pratica indicato quale exit strategy il “modello Zapatero”: annuncio del premier di non volersi ricandidare ed elezioni anticipate nel giro di due mesi. Oggi Umberto Bossi ne ha indirettamente appoggiato almeno la seconda parte, ripetendo che è impensabile giungere in queste condizioni al 2013: si voterà l’anno prossimo, magari dopo aver varato una nuova legge elettorale. Perfino Berlusconi non lo esclude quando ribadisce ai suoi di voler andare avanti “salvo imprevisti”.

L’imprevisto si annida anzitutto nel Pdl: da Beppe Pisanu a Claudio Scajola, da Roberto Formigoni ad alcuni ex finiani, sono in molti a ritenere che per il Cavaliere sia giunto il momento di passare la mano. Si tratta di decidere come. Un eventuale passaggio di consegne ad Angelino Alfano non è semplice e presupporrebbe quell’intesa con l’Udc di Pierferdinando Casini che continua a sfuggire tra le dita. E comunque nell’entourage dei fedelissimi si preferirebbe che ciò avvenisse con nuove elezioni e non con la guida di quel governo d’emergenza evocato oggi anche da Giorgio Napolitano con il ricordo del governo Pella. Lo stesso Bossi preferisce il voto per non essere costretto a cedere anzitempo il suo scettro: come ha spiegato ai cronisti, difficile spennare la gente e poi farsi votare (il futurista Mario Baldassarri dice, numeri alla mano, che nel 2012 servirà un’altra manovra da 20 miliardi). L’obiettivo del Senatur è quello di blindare un percorso di sicurezza del Carroccio che passi per la politica economica (vedi il sostegno a Vittorio Grilli) e per una battaglia indipendentista nelle urne (“La Padania è una nazione stimata e tiene in piedi l’ Italia”).

Il ritorno anticipato al voto non piace agli ex dc del Pdl (Pisanu le giudica un grave errore) e in generale a tutti coloro che pensano di poter aprire una nuova fase politica attraverso un governo di fine legislatura che avrebbe la copertura del Colle. Le voci di fratture interne al Pdl ne sono la naturale conseguenza. Ma è curioso che le elezioni non siano avversate con determinazione dall’opposizione sebbene ciò significhi votare con il famigerato Porcellum: tanto da autorizzare il sospetto di un calcolo spregiudicato che consentirebbe a tutti di riportare in Parlamento i propri amici. Ma certo, avverte Beppe Pisanu, ci sarebbe il pericolo di un riproporsi – a ruoli invertiti – di tutti i problemi politici rinviati al dopo-voto. Ciò spiega perchè, nonostante tutto, Berlusconi sia pronto a resistere: senza un fronte compatto l’alternativa non esiste. “Arriva un altro: e che fa?”, si chiede sarcastico il premier. Convinto del fatto che “nessuno mi tradirà”.

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