La Landini Spa della provincia di Reggio Emilia ha cause pendenti per sette milioni e mezzo di euro. E per la prima volta tira in ballo i politici: "Sono loro a dover rispondere, noi abbiamo rispettato la legge. E la prima normativa è arrivata soltanto nel 1992". In realtà se il loro ricorso venisse accolto pagherebbero i contribuenti
Per spiegare affermazioni del genere occorre innanzitutto partire dai fatti. La Landini Spa di Castelnovo Sotto, paese della bassa reggiana, dal 2007 in poi è stata condannata dal giudice del lavoro a risarcire danni per morti d’amianto pari a 864 mila euro. Una “lista della morte”, quella dell’amianto lavorato alla Landini, che quattro anni fa contava già sei morti accertati per mesotelioma e che ora si è allungata. Tra i malati, decine con asbestosi polmonari, bronco da silicati e placche pleuriche.
Le richieste risarcitorie nelle cause ancora pendenti assommano complessivamente a 7,4 milioni di euro che dovrebbe sborsare direttamente la Landini Spa. “La mia azienda fallirà se continua così”, racconta Mirco Landini, ottantottenne patron della società che ha fondato nel 1955. “Noi ci siamo mossi sempre a norma di legge, l’amianto è stato vietato solo nel 1992, fino ad allora noi abbiamo rispettato le leggi vigenti”.
Così prima in Italia, con l’appoggio della Confindustria di Reggio Emilia, ha deciso di far causa allo Stato italiano, alla presidenza del consiglio ai ministri e ai ministeri della salute, del lavoro e della politiche sociali con un atto depositato presso il tribunale di Bologna. “È una prima causa del genere in Italia”, spiega l’avvocato Giulio Terzi che, insieme al collega Andrea Soncini, ha redatto il documento legale. “Vi è stata una inadempienza dello Stato che è gravissima e antica”, sostengono i legali, “si pone contro l’articolo 32 della Costituzione a tutela della salute e l’articolo 3 della legge del 1955”.
È una chiamata in causa contro i politici che hanno governato l’Italia dal 1955 al 1992 anno in cui venne messo definitivamente al bando l’amianto?
“No, diciamo che è una condanna morale verso il loro comportamento politico”, spiega l’avvocato Soncini, “legalmente si fa causa contro lo Stato oggi”.
Facendo causa contro lo Stato, se si arriverà a una condanna, però i risarcimenti di fatto verranno pagati da tutti i cittadini e non i politici corresponsabili in prima persona. Possibile una “class action” contro di loro?
“Fare una causa direttamente contro di loro sarebbe lungo, difficile e costoso, una battaglia impervia. Per quello c’è il voto alle elezioni”.
Su cosa si fonda questo clamoroso ricorso che farà discutere?
“Lo Stato italiano nemmeno ha recepito in tempo, lo fece solo con il decreto legislativo 277/1991, conseguente alla direttiva 83/477/CEE della Comunità Europea in materia di concentrazione d’amianto, tanto che lo Stato italiano venne condannato dall’Unione europea nel 1990 con la sentenza del 13.12.90 nel procedimento aperto d’infrazione apertosi dalla Corte di Giustizia Europea”.
Ad appoggiare l’azione, con forte valenza politica è Industriali Reggio Emilia-Confindustria con il presidente provinciale in persona, l’industriale Stefano Landi. “Con questa azione il nostro pensiero va alle vittime ed i loro familiari, noi ribaltiamo il conflitto datori di lavoro-lavoratori e chiamiamo direttamente in causa chi non ha fatto in tempo le leggi in questa maniera”.
Ma la tesi di Landini e Confindustria viene smentita dai legali dei familiari delle vittime d’amianto che dal 2007 hanno vinto cause su cause. “Quello che sostengono Landini, l’associazione industriali e i loro legali non è vero”, spiega l’avvocato Mariacarla Borghi che, in collaborazione con l’avvocato Marco Fornaciari, fino a oggi ha vinto cause su cause.
“La pericolosità della lavorazione dell’amianto era nota fin dall’inizio del secolo scorso”, spiega ancora Borghi, “se non antecedente. La Corte di Cassazione con numerose pronunce nel 2005 e 2008 ha ricostruito tutta la situazione legislativa. Il primo decreto che definisce un lavoro insalubre e pericoloso la lavorazione d’amianto è il regio decreto numero 442 del 1909, vi è poi un regolamento del 1916 un regio decreto del 1936 ed un altro del 1927. Se vogliono possiamo continuare con norme del 12 aprile 1943, dove l’absestosi viene messa tra le malattie professionali”.
“Infine”, aggiunge l’avvocato dei familiari delle vittime, “arrivano la legge delega del 1955 e un regolamento del 1960 che prevede in maniera specifica che la presenza dell’amianto nei materiali di lavorazione possa dar luogo avuto riguardo alle condizioni delle lavorazioni, a inalazione di polvere di silice libera o di amianto tale da determinare il rischio. L’imperizia nella quale rientra l’ignoranza tecnico-scientifica è uno dei parametri integrativi al quale commisurare la colpa e non potrebbe risolversi nel sollevare da responsabilità il datore di lavoro”.
Ora la battaglia si sposta nelle aule del tribunale di Bologna. La prima udienza conoscitiva a gennaio. “Allora conosceremo le motivazioni con le quali lo Stato si opporrà e difenderà”, spiega l’avvocato Terzi.