Ha ragione Nicola Gratteri: «I cittadini che votano hanno diritto a sapere tutto delle persone che dicono di lavorare per il bene del Paese», ha detto intervistato da Repubblica. E allora «è sbagliato mettere la sordina all’informazione: fanno bene in America a pubblicare tutti gli atti relativi alla vita di chi è stato votato dagli elettori a ricoprire incarichi pubblici». Questione di democrazia. Questione di buona politica.

Ma il prezzo della trasparenza è troppo caro per le tante coscienze sporche che occupano le nostre istituzioni. E allora dietro il paravento ipocrita della “privacy” – come se gli appalti Finmeccanica scambiati per un po’ di “gnocca” fossero dettagli di intimità – la maggioranza berlusconian-leghista sforna norme che paiono uscite dal codice Rocco o dalla Russia del caro amico Vladimir. Non c’è privacy possibile, per chi governa un paese. Soprattutto per chi lo governa tra un’indagine e l’altra, con amicizie “sospette” e trascorsi poco rassicuranti. Non veniteci a dire che guardiamo “dal buco della serratura”: è un dovere civile, se dietro quella porta si infanga un paese.

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