L’immagine mitica del cinema americano che immortalava padrini eleganti e spietati è lontana più che mai nelle torride scene che siamo, nostro malgrado, costretti a vedere nelle strade della Campania. Mi riferisco in particolare a due località distinte, quanto vicine per assurdità: Barra e Castellammare di Stabia. Da quest’ultima, ormai ripresa da tutti i giornali, la notizia della messa in vendita di una folle maglietta che inneggia alla mafia: “Meglio morto che pentito”. Da Barra, quartiere periferico di Napoli, la celebrazione in strada della camorra.

La maglietta in questione, oltre ad essere di cattivo gusto, presenta a nostro avviso profili di rilievo penale, rinvenibili nel reato di “istigazione a delinquere”. Si sa, le mafie basano la loro esistenza sul timore e sulla compiacenza, che loro chiamano “onore”, mentre la legalità, questo ignoto concetto, si fonda su altri cardini come la giustizia e l’onestà, che noi chiamiamo “partecipazione”.

In quello che è un rituale contadino, con macchine da festa contrassegnate dall’araldica del giglio trasportate per le vie di Barra, si è consumato uno scempio di spettacolo degno delle migliori colonne sonore di Nino Rota. Sotto gli occhi compiacenti dei partecipanti, si è suggellata l’alleanza di due clan locali che, con la benedizione del santo portato a spalla, hanno stretto un patto all’insegna degli affari e del bene comune.

Già, il popolo. Perché al di là della squallida mistura tra religione, tradizione, mistico e superstizione, lo sdegno negli occhi di chi guarda è provocato dalla cosciente presa di potere dinnanzi a un popolo festante ed orgoglioso dei propri carcerieri. Così, mentre il Parlamento varava il nuovo codice antimafia, a Napoli, o meglio in quella fetta di città, un boss di uno dei clan locali intimava al megafono e in sella ad una pacchiana macchina lussuosa, un minuto di silenzio per ricordare tutti quelli che si sono battuti e hanno perso la vita in nome degli affari della camorra, e nelle faide interne ad essa.

La festa dei Gigli a Barra – si legge nella nota di uno dei comitati promotori – è “l’appuntamento”, il giorno delle riunioni delle grandi famiglie. […] Dietro i Gigli che ballano danzano i nostri sogni, si muovono i fantasmi e ricordi della nostra infanzia, le arrampicate frenetiche, fatte un po’ per provare la proprie abilità, un po’ per gareggiare con la gioventù coeva ed imporre la propria esistenza”. E’ proprio questo il punto. A Barra ed in molti comuni, ad imporre la propria esistenza è solo la camorra. A pagarne i danni, invece, è il Paese intero.

Le immagini di gente mafiosa circondata da plaudenti compiaciuti (perché chi plaude la mafia è egli stesso mafioso!), di un parroco ossequioso, di giovani esaltati dall’ostentazione del lusso e del potere (i veri santi portati a spalla in quella festa) ma anche di vecchi accalorati, fanno un gran male, alla luce soprattutto degli enormi sacrifici che il nostro Paese ha dovuto finora patire in termini di vite umane e di risorse impiegate nella lotta alla camorra. Inutile ricordare a queste persone che senza le mafie l’Italia godrebbe di ben altra  situazione economica ed il sud arretrato conoscerebbe un futuro redivivo.

L’indegna manifestazione cui abbiamo avuto il (dis)piacere di assistere non conosce limitazione alcuna dal punto di vista penale: non esiste infatti un reato di “manifestazione pubblica mafiosa“, anzi, essendo quelle persone “libere”, seppur pluricondannate, hanno piena facoltà di manifestare il proprio pensiero mafioso. E allora viva la camorra con le sue manifestazioni di piazza, viva il sistema che governa indisturbato in nome del popolo succube e contento dei suoi padroni (pardon, padrini), viva l’estorsione legalizzata di chi per organizzare feste costringe le già povere famiglie a un obolo obbligatorio quanto fraudolento.

La mafia è affezionata alla piazza, si sa, il luogo più vicino al popolo. Lo si capisce dall’ammirazione di chi si sente vicino a quelle persone, sintomo che lo Stato è sempre più un’entità evanescente, unico vero colpevole in questa lotta perdente che avrebbe dovuto condurre le nuove generazioni a cambiare la propria cultura. Ci chiediamo allora dove siano le manifestazioni contrarie, ci chiediamo perché gli indignati di Barra (perché siamo convinti ce ne siano) non siano scesi in piazza nei giorni seguenti per dire basta alla camorra; ci chiediamo dove sia la Chiesa se non condanna parroci conniventi o comunque compiacenti; ci chiediamo infine, e ci auguriamo anche, che le istituzioni intervengano e lo facciano nel miglior modo possibile, sia con azioni penali, sia con una presa di posizione di ferma condanna dei misfatti citati (lo ha fatto il sindaco di Napoli nei giorni scorsi).

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