A differenza di Moody’s, quando Giuliano Ferrara abbassa il rating del suo eloquio è un buon segno per il Paese. Torna alla memoria il glorioso biennio ‘92-‘94, la fuga dei suoi vecchi amici, traditi da quelli nuovi. E significa che oggi il suo ipnotizzatore finale sta naufragando dentro l’acquario che ha costruito e che da diciassette anni ci imprigiona.
Stavolta il suo baccanale di punti esclamativi lo conduce a imbracciare una prosa da alchimista che apparecchia banchetti di “sangue di tigre e bistecche di leone”, per restituire baldanza all’anemico declino. Fa finta di credere, come certi pagliacci dell’informazione che gli giocano tra le dita,che “l’Italia non è in ginocchio e il mondo non sta bruciando”. Immagina riscosse, privatizzazioni, liberismo, addirittura “operazioni verità”.
Come se la verità fosse auspicabile per un tipo che due soli modelli economici esibiva in pubblico, quello del colonnello libico, e l’autocrazia predatoria dello zar Putin. Vaneggiando un’Italia dei consumi, mentre fabbricava questa miserabile a sua immagine, dove nei fondali muoiono schiave da 3 euro e 90 centesimi l’ora. E in superficie danzano giovani put… che ne incassano 5 mila a botta.
Il Fatto Quotidiano, 7 ottobre 2011