I precari delle redazioni di Roma, Milano, Firenze, Bologna e i corrispondenti regionali hanno deciso di incrociare le braccia perché, come spiegano nella lettera inviata al direttore Claudio Sardo, "non siamo più disposti ad accettare questa situazione"
Che il glorioso giornale fondato da Antonio Gramsci nel 1924 navigasse in cattive acque dal punto di vista economico si sapeva. Ma adesso, dopo che la testata è appena uscita da due anni di stato di crisi, con il blocco delle assunzioni che ne era conseguito, forse si sperava che la ripresa fosse differente. Magari ci si aspettava qualche investimento in più da parte della società. Invece, spiega ancora una delle decine di persone coinvolte nella protesta, c’è una “totale assenza di prospettive per i precari storici, anche a fronte di spazi che si sono aperti con i prepensionamenti”. In sostanza, “molti dei giornalisti che erano andati in prepensionamento continuano a lavorare a pieno ritmo”. Non che si voglia “sfilare” loro il posto di lavoro, ma se si pensa che gli ex organici prepensionati godono comunque di una pensione, mentre “molti dei giornalisti a contratto determinato sono stati mandati via per lo stato di crisi prima che maturassero i due anni utili ad ottenere l’indennità di disoccupazione”, si capisce la realtà dei fatti. E si comprende perché nella lettera si fa riferimento a “prospettive congelate sull’altare dell’attesa, in nome di un futuro migliore che non si scorge all’orizzonte”.
Ad aggravare la situazione c’è anche il pesante ritardo nei pagamenti: “Per la maggior parte di noi l’ultimo bonifico risale a giugno, e riguarda il compenso delle pubblicazioni di febbraio, con assegni ridotti a una media di 20 euro lordi a pezzo”. Il tutto al netto delle “spese che ci troviamo a sostenere relative al lavoro che forniamo a questo giornale, per cui – scrivono ancora i collaboratori – i compensi ricevuti con questo ritardo raramente possono essere considerati un guadagno”.
Da qui l’appello al direttore perché “si faccia portavoce con il Cda e con l’editore per il pagamento degli arretrati e per favorire la convocazione di un incontro”. Insomma, di certo questo sciopero non impedirà, domani e dopodomani, a L’Unità di andare in edicola, ma, almeno, è un tentativo di far sentire la propria voce, di non essere considerati invisibili e ottenere, si legge nella lettera inviata al direttore, “riconoscimento di rispetto e dignità” da parte di “un’azienda che stimiamo e alla quale sentiamo di appartenere”. “Il nostro stato di esasperazione e la negazione dei nostri diritti – continua il documento – non ci permette di sopportare oltre”.
La protesta ha raccolto la solidarietà dell’associazione della stampa Emilia-Romagna, dell’associazione stampa Toscana e dell’associazione stampa Romana.