Credo sia lecito porsi la domanda sull’effettiva “bontà” e sull’effettivo valore sociale generato dai gruppi di acquisto online che si sono fortemente affermati nel corso degli ultimi due anni e che stanno modificando i comportamenti e le abitudini di acquisto di molti di noi.
“Quello dei gruppi d’acquisto è un sistema di offerta di coupon relativi a servizi legati soprattutto alla ristorazione, al benessere, allo sport, all’intrattenimento e al turismo che in Italia, come in moltissimi altri Paesi, sta riscuotendo molto successo” ha commentato in una recente intervista Ombretta Capodaglio, marketing manager della divisione Online di Nielsen.
E’ ovvio che non si possa certo fare “di tutta un’erba un fascio” ma è bene anche cercare di capire meglio di quale successo si stia parlando visto che, anche da noi questo fenomeno, guardando i dati di “audience”, risulta essere in forte crescita. Groupon, il più importante sito internazionale di “social shopping”, in Italia ha circa 8 milioni di utenti unici mese (su 26 milioni di “navigatori”). In virtù di questo grande interesse da parte dei consumatori è giusto anche sapere che cominciano a sorgere le prime criticità e i primi dubbi sui prodotti e i servizi in promozione e sul valore reale che i “merchant” possano da un lato offrire e dall’altro trarre da questi nuovi modelli di business che, a detta di molti operatori coinvolti, deprimono fortemente o addirittura talvolta azzerano i margini sul fatturato reale con la promessa di incrementare il giro di affari ed il portafoglio clienti.
E’ di qualche giorno fa la notizia che proprio Groupon ha avuto un grosso problema con la SEC americana Securities and Exchange Commission, a seguito della richiesta di iscrizione all’IPO al Nasdaq di New York, ovvero l’offerta al pubblico delle suoi titoli azionari effettuata all’inizio dello scorso mese di giugno e già sottoscritta da tre colossi della finanza internazionale quali Morgan Stanley, Credit Suisse e Goldman Sachs grazie alla quale avrebbe voluto raccogliere 750 milioni di dollari.
Il problema di Groupon, si legge su vari siti e blog internazionali, è stato causato dalla mancata trasparenza nella dichiarazione del proprio fatturato, che è risultato essere “gonfiato del doppio”, in quanto teneva conto anche della quota di retrocessione destinata ai partner dell’azienda di Chicago (le aziende che offrono i propri servizi a prezzi promozionali) pari al 50% del valore dell’offerta ovvero del fatturato generato dalle vendite online a gruppi di acquisto, pubblicamente rettificata nei giorni scorsi.
Un altro problema, che aveva creato non poche critiche nella comunità finanziaria americana, era stato causato dalle dichiarazioni di Eric Lefkofsky, co-fondatore ed Executive Chairman di Groupon che, non rispettando le regole della SEC – che richiedono l’osservanza di un periodo di “silenzio” nel periodo che intercorre tra l’iscrizione e l’effettiva IPO – aveva dichiarato il 5 giugno a Bloomberg News, proprio qualche giorno dopo la richiesta di IPO, che l’azienda sarebbe diventata “selvaggiamente profittevole”. Tutto ciò nonostante gli analisti argomentassero invece una situazione di perdite e di forte indebitamento dell’azienda.
I servizi legati al benessere e alla salute, spesso in offerta sui siti di “social shopping” meriterebbero, peraltro, un ulteriore approfondimento laddove la domanda di fondo è: può la salute dei cittadini/consumatori essere un bene commercializzabile attraverso questi nuovi modelli commerciali? Un esempio concreto: può un medico dentista che fa investimenti in tecnologie, ricerca, prodotti chimici e medicinali, essere nelle condizioni di mantenere un servizio di qualità, che tenga conto della salvaguardia della salute dei sui pazienti, promuovendo visite odontoiatriche, ablazione del tartaro, panoramica e smacchiamento a 59 euro e cioè con sconti che possono arrivare all’80%?